Un promontorio roccioso ai limiti del fosso omonimo, venne anticamente scelto per la costruzione di questo “castrum”, posto verso il confine Nord-Est della provincia di Viterbo, e tuttavia inserito nei territori dominanti, nel periodo medioevale, dal comune di Orvieto. Probabilmente fortificato e voluto dalla potente famiglia dei Monaldeschi, signori di Orvieto, Castiglione ne condivise a lungo le alterne vicende. La sua posizione strategica e la continua guerra tra i due potenti comuni per la conquista del contado, coinvolse direttamente Castiglione, ritenuto luogo fondamentale per la linea difensiva, non solo degli orvietani e dei viterbesi, ma anche dai pontefici e dai rappresentanti dello Stato Pontificio. Nel XII secolo Adriano IV (1154-1159) si recò ad Orvieto per aspettare Federico Barbarossa. In quella occasione il Papa strinse con questo comune una serie di accordi, che comportavano l’acquisizione di molti territori, compresi tra Val di Lago e la Valle del Tevere. Tra questi era inserita la metà di Castiglione in Teverina. La prima notizia certa di questa rocca risale all’inizio del XIV secolo (1323), quando il castrum venne, per la prima volta, menzionato nei Capitoli della Carta del Popolo di Orvieto: “… additur de novo quod emanatur per Comunem Urbeventanum castrum Castiglionis quod est in Tyberina…”. La definizione specifica di castrum lascia intendere che in quell’anno già esistesse una fortificazione, caratterizzata da una tipologia ancora oggi molto evidente. I criteri difensivi in base ai quale fu costruito il borgo, derivano dal tentativo di sfruttare al massimo la conformazione orografica del terreno. Il nucleo originale del castello dei Monaldeschi (fine XIII secolo- inizi XIV secolo) era ben difeso a Nord da un fossato artificiale ed a Sud dal naturale degradare del pianoro. Il piazzale interno alla prima cinta muraria, di contrappunto alla fortezza, veniva probabilmente utilizzato per il vettovagliamento e lo stanziamento delle truppe. La fortezza è un imponente edificio a pianta quadrilatera con dimensioni di circa m 40 x m 27, imperniato su quattro grandi torri angolari, secondo uno schema difensivo molto diffuso. La presenza di diverse tecniche murarie, con prevalenza dell’uso di blocchi di travertino, cavati “in situ”, denota le trasformazioni subite dall’edificio nel corso dei secoli. È possibile ipotizzare che inizialmente la rocca si articolasse su di una matrice rettangolare, con un sistema difensivo laterale o di fiancheggiamento affidato agli arcieri, probabilmente posizionati nelle torri di angolo. Solo più tardi, con l’arrivo delle armi da fuoco, vennero costruiti contrafforti a scarpa lungo tutto il perimetro della cinta muraria al fine di rinforzare la muratura ed evitare che negli si formassero dei punti morti maggiormente esposti agli assalti dei nemici. Il castello era certamente dotato di una galleria interna al livello del fossato, usata per il tiro radente, e di un camminamento a cielo aperto alla quota della merlatura. Nel 1323, nella Carta del Popolo di Orvieto, la famiglia Monaldeschi ordinava che quattro uomini per ciascun quartiere, si recassero per Castiglione per costruirvi nuove case, concedendo loro per 20 anni l’esenzione dalle imposte. Gli abitanti di Castiglione era fino allora probabilmente vissuti nei territori circostanti, dipendendo almeno in parte dall’abbazia benedettina di S.Lucia e dalle vicine sorgenti. La politica espansionistica della famiglia Monaldeschi, da tempo interessata al rafforzamento delle proprie posizioni nel contado orvietano, portò una prima espansione urbanistica di Castiglione. Questa determinò la matrice geometrica del primo nucleo insediativo ed il tracciato della via principale (via IV Novembre) che collegava la porta di sopra alla porta di sotto. Il tessuto urbano secondario, formato da edilizia minore, si estese fino ai limiti del dirupo naturale rinforzato dalle mura civiche. Le caratteristiche orografiche del pianoro condizionarono nel corso del Quattrocento la seconda fase dell’espansione del castrum. In questa fase l’abitato finì per saturare il suolo edificabile entro limiti facilmente difendibili, e raggiunse il confine segnato dall’attuale centro storico. Il nuovo edificato venne autonomamente difeso da una cinta muraria dove è riconoscibile l’ingresso ad “L” in Porta S. Giovanni, collegato alla Porta di sotto da scalinate e cordonate realizzate per superare il forte dislivello. In via del borgo n. 15 è ancora visibile l’antica chiesa di S. Giovanni Battista costruita al di fuori del primo circuito ed inglobata nel secondo. Essa fu abbandonata nel 1416 a favore di una nuova chiesa posta sotto lo stesso titolo, eretta a ridosso della più recente cinta muraria, sull’attuale piazza S. Giovanni. Dalla metà del 1300 Castiglione rimaneva nelle mani delle diverse fazioni dei Monaldeschi. Era stato infatti separato dalle altre proprietà di Orvieto. Il castello era passato, con il beneplacito pontificio, alla fazione monaldesca della Cervara, cacciata in quegli anni dal più potente Comune. In questo periodo, secondo le cronache di Orvieto, Castiglione veniva riedificato con le stesse pietre provenienti dalla fortificazione diruta di Proceno: “…Berardus Corradi cepit proditione Casserum Proceni; et invitavit comites de Proceno ad convivium et occidit eos et de lapidibus Proceni edificavit Castiglionem…”. Ma considerando la grande distanza fra Castiglione e Proceno ed il fatto che nel 1351 i Monaldeschi avevano assaltato e distrutto il castello nemico di Paterno, sembra più probabile che nel documento citato si confonda Proceno con Paterno, facendo riferimento a quest’ultimo e alle sue pietre per la costruzione di Castiglione. Il rafforzamento della fortezza di Castiglione subito dopo la distruzione della vicina Paterno, si spiega con la volontà di non abbandonare un sito strategico vicino agli scavi del Tevere , collegato con i maggiori e più importanti centri del territorio. Importante era quindi questo sito anche per la tendenza della popolazione rurale, ad accentrarsi nelle località più convenienti e meglio collegate del contado. Berardo di Corrado dei Monaldeschi della Cervara fu il primo feudatario di Castiglione di cui si abbia notizia certa. Egli lasciò eredi i due figli maschi, Corrado e Luca, che si erano impegnati a non dividere il feudo. Furono i nipoti di Berardo che operarono una prima spartizione dei territori ereditati. Dopo la loro morte, tuttavia, rimasero solo discendenti di sesso femminile. Pio II Piccolomini (1458 – 1464) concedeva loro il permesso di realizzare i matrimoni tra cugini per evitare la polverizzazione dell’eredità. Castiglione rimaneva da allora nelle mani dei Monaldeschi, almeno fino 1487, anno in cui l’ultimo erede sposava un membro della famiglia Savelli, allora nemica della fazione pontificia. In quegli anni si avviava una nuova ristrutturazione del borgo, voluta ancora una volta dai signori di Orvieto, proprietari del castello: “…Orvieto remittit subsidim ducatorum trenta camerae debitum concessendum in reparationem murorum ad instantiam conradi et berardi de monaldensium de Cervaria, 11.5.1914…”. I Monaldeschi della Vipera si opposero tuttavia alla perdita del feudo, combattendo contro i Savelli. All’inizio del XVI sec., questi ultimi cedevano definitivamente i loro diritti su Castiglione. Divenivano proprietari del borgo i Farnese, importante famiglia del contado, che in quel periodo aveva progressivamente e costantemente esteso la “longa manus” sul territorio, acquisendo uno dopo l’altro Giove, Castelpiero, Graffignano. Probabilmente i Savelli miravano non solo a liberarsi di un territorio scomodo, al centro di continue contese con i Monaldeschi, ma anche e soprattutto a favorire Pier Luigi, figlio di Papa Paolo III Farnese. Il dominio dei Farnese, tuttavia, non durò a lungo. Nel 1527, come molte altre fortificazioni della zona, Castiglione veniva depredato dai soldati imperiali responsabili del sacco di Roma. Due anni più tardi figurava di nuovo fra le proprietà dei Monaldeshi, come rivela una bolla di Clemente VII n cui Pietro Paolo viene detto Signore di Castilionis Tyberinae. Nel 1529 Castiglione risulta sottoposto alla Signoria di Orvieto e strettamente legato alla causa Cervaresca. Alla metà del XVI sec. Giulio III (1550-1555) ordinava alla Reverenda Camera Apostolica di farsi consegnare il castello in attesa della soluzione delle diverse cause ereditarie sollevate e ne affidava la gestione a Pietro Paolo Monaldeschi, Commissario Apostolico, permettendo che le entrate del feudo rimanessero alla vedova di Pierluigi Farnese. Nel 1552 il castello insieme ad Alviano ed Attigliano tornava ad essere inserito fra i possedimenti della Chiesa. Frattanto Paolo III Farnese (1534-1549) aveva promesso Castiglione al nipote Card. Ranuccio. I Monaldeschi avevano ormai perso il diritto sul loro antico castello. Le mire espansionistiche dei Farnese avevano stimolato una intensa e feconda attività edilizia tanto che prete Marco, il 15 Aprile 1552 annotava a proposito del borgo “…hedificaverat multas domos in hac tera…”, ad uso dei tanti forestieri. Nel 1557 si riscontra un forte incremento delle natività. E’ necessario ricordare che difficili anni di carestia e pestilenza erano stati appena superati. L’incremento demografico appare come naturale conseguenza del miglioramento della situazione generale. In questo periodo furono costruite le case che si affacciano su Via del Rivellino databili al tardo Rinascimento. Altro indubbio segno di uno sviluppo edilizio è rappresentato dalla costruzione della Chiesa dei SS Filippo e Giacomo. Il vescovo Gallesio Regard, ne ravvisava la necessità nel 1566 a testimonianza di un crescente aumento di anime nella comunità. L’edificazione della nuova chiesa determinava un riassetto del sistema viario, una perdita di importanza del Rivellino vero e proprio, ed una ridefinizione della Piazza, denominata nei documenti coevi il prato. La piazza era separata dalla Porta di sopra del castello da un fossato, valicabile probabilmente solo attraverso un ponte levatoio protetto dal rivellino. Il Trattato di Architettura Ingegneria e Arte Militare di Francesco Martini affermava: “Li rivillini dieno essere fatti inanzi alle porti in defensione di quelle, e fondati in logo sì basso che da le bombarde non possino essere offesi, e niente di meno el muro suo debba essere della altezza delle mura o circa, secondo la comodità, con un fosso intorno convieniente a quello, con alcuna delle parti dette di sopèra. …” Questo significa che l’ingresso del castello era probabilmente dominato da una torre particolare, avanzata rispetto alle mura, di foggia più robusta delle altre, ben difesa da saettiere e caditoie. Essa in età medioevale aveva la doppia funzione di protezione del fossato e della cortina. Nei secoli successivi, l’esigenza di facilitare la mobilità extraurbana, insieme alla fine delle guerre ed alla nuova impostazione urbanistica, ne consigliarono la demolizione. Nel 1635 ancora si conservavano la Porta di sopra e la Porta del Rivellino; in un documento dell’epoca si ritiene infatti opportuno rinserrare con una cinta muraria il borgo di recente costruzione, con la rocca; una perimetrazione dell’ulteriore dilatazione del centro che probabilmente non fu mai realizzata. Già dal secolo precedente era avvenuta la separazione tra Castiglione in Teverina ed Orvieto come testimonia un documento relativo alla tassa della distribuzione del sale:”…nel pontificato di Eugenio III fu ordinato alla città di Orvieto che dovesse pigliare il sale ordinario nella salaria di Corneto e li furono assegnate fra la città et castelli 423, ½ l’anno. Nel pontificato di Paolo IV fu smembrato dal territorio di Orvieto Castiglion della Teverina et per questa smembratione si levorno rub 16, ½…”. Nel 1609, nel corso di una causa tra il Duca di Parma e Castiglione, contro Orvieto e la Reverenda Camera Apostolica vennero ridisegnati i confini del territorio:”… cominciando dal comune delle salci si vada per linea retta sopra le spiagge di Ser Jaco e sopra Monticello e campo dell’Olmo sin al fosso della cava et per detto fosso si vada alla strada et per quella sino alla forma camorata dalla quale si vada al fosso S. Benedetto et per detto fosso al cavone di Campignano dal quale cavone si vada alla strada di Orvieto con linea tirata sopra Corno e sotto la valle di Sermugnano et dalla detta strada descendendo sin al principio del forcone da macinar dal quale si vada al sopra detto cavone delle salci…”. Alla metà del XVII sec., nel 1651, i Farnese allargavano ancora le loro proprietà, approfittando del fatto che il Tesoriere generale bandì un’asta per l’affitto di alcuni beni compresi nel territorio di Castiglione, allora considerati parte della eredità della famiglia Baglioni. Nel 1694 il castello veniva definitivamente unito al ducato di Castro, di proprietà farnesiana, e sei anni più tardi, il 24 marzo del 1700 Innocenzo XII concedeva in enfiteusi perpetua ad un tal Anselmo Lallusi la rocca di Castiglione in Teverina. Il 13 gennaio del 1714 Clemente XII acconsentiva alla cessione della Rocca di Castiglione a favore di Giuseppe Ravizzi e dei suoi eredi e successori. Attualmente su Piazza Maggiore (già Piazza 18 Ottobre) si contrappongono la facciata ottocentesca del Palazzo comunale e quella del castello, fortemente rimaneggiato in epoca contemporanea, con l’apertura di numerose finestre, con la ricostruzione arbitraria dei merli e con la copertura a tetto del camminamento di ronda. La realizzazione dello schema urbano a ventaglio, molto simile alla trama planimetrica di Bagnaia, può datarsi al XVII sec. A Castiglione è la Porta di sopra che svolge la funzione di cerniera delle arterie extraurbane e di punto di vista privilegiato della piazza. Una soluzione di progetto rispondente alle esigenze della moderna mobilità e di una espansione edilizia che ha spesso modificato le caratteristiche naturali del territorio.