di Filippo Formica (detto Pippo il figlio di Cannara), da Milano

Fare un salto nella memoria di oltre 50 anni, non è facile, però lo diventa quando i ricordi vissuti sono stati belli ed importanti, ricordi ancora scolpiti nel cuore e nella mente. Infatti mi basta chiudere gli occhi per rivivere quel passato che ridiventa come per magia presente.
Sono nato il 28 Settembre 1949 a Castiglione in Teverina, in Via della Provvidenza n. 12. Durante il parto mia madre Annunziata fu assistita dall’ ostetrica, la signora Margherita, la moglie del farmacista Vezzosi, e dal Dottor Filippo Chimienti medico condotto del paese (ecco perché mi fu dato il nome Filippo). Durante le fasi del travaglio venne a casa mia Mezzoprete per avvisare l’ostetrica che sua moglie aveva le doglie. Quindi nello stesso giorno nacque anche l’Ivana con la quale ci siamo sempre scambiati gli auguri per il nostro giorno di compleanno.
I RICORDI DELLA MIA INFANZIA

Andando indietro nel tempo la memoria mi riporta a ricordi di quando avevo forse 3 anni. Ricordo che giocavo sulle scale davanti alla porta di casa mia. Avevo sempre il moccolo al naso, portavo un cappellino a forma di coppola e giocavo con due “torsoli” di granoturco collegati davanti con una tavoletta alla quale avevo legato uno spago che tiravo immaginando di portare al pascolo “la Bianchina e la Moretta” che erano le mucche dei miei zii.
Mentre giocavo passavano davanti casa mia Marinello e Antoniale che mi facevano lo scherzo sollevandomi il cappellino dalla testa allora io mi giravo per vedere chi era tirando su il moccolo del naso e poi quando avevo visto che erano sempre quei due gli dicevo per spaventarli: “Adesso piccio (piscio) addosso e ti tiro una ciacciata (sassata)!”.
Questo credo proprio che sia il mio primo ricordo dell’infanzia che anche volendo non potrei mai dimenticare perché ogni volta che ci incontriamo sono soliti ricordarmelo. Per quelle scale è passata moltissima altra gente e fra questi mi ricordo molto bene di Adalgiso Paganelli che andava ad accudire la somara.
Gli altri ricordi della mia vita vissuta in quel luogo si intrecciano con gli altri bambini e bambine che vivevano al borgo e nelle campagne a sud del paese. Le stagioni condizionavano le nostre giornate.
Eravamo veramente tanti! Ora a 61 anni ripercorro con la mente tutte le vie del borgo e piano piano ricordo tutti: i volti dei nostri vecchi, i bambini, gli spazi in cui giocavamo ed i giochi a volte pericolosi che facevamo.
Io ero il figlio più piccolo nella mia famiglia quindi mi trovavo bene a giocare sia con i bambini più grandi di me (che erano gli amici di mio fratello) che con quelli della mia età così avevo molti più amici degli altri e raramente c’erano litigi.

Il borgo di Castiglione ben si prestava alla vita di comunità, tutti ci conoscevamo, la mamma di uno era la mamma di tutti, infatti se ci spostavamo per giocare eravamo sempre sotto il controllo di qualche mamma ma come fanno sempre i bambini i pericoli li vanno a cercare e noi eravamo molto bravi in questo infatti le ginocchia erano sempre piene di croste che non facevano mai in tempo a guarire. Pensando oggi ai pericoli scampati credo proprio che qualche Santo ci abbia sempre protetto.
Eravamo tutti molto liberi e le nostre famiglie erano nella stessa condizione economico-sociale, i nostri genitori non potevano sempre seguirci avevano il loro da fare e soprattutto nelle case non c’erano le comodità di oggi.
In quel periodo le case del borgo non avevano né corrente elettrica né acqua e né servizi igienici. Le fontane ancora esistenti nel paese erano un punto d’incontro per grandi e piccoli. A me non piaceva molto andare a prendere l’acqua perché mi distoglieva dal gioco e quando mi costringevano lasciavo la brocca alla fontana e tornavo a giocare ed andavo a riprenderla quando tutti tornavamo a casa.
Per uscire di casa non era necessario avvisare la mamma perché bastava aprire la porta e si era già fuori. Anche i nostri genitori svolgevano le loro attività sempre fuori, sopratutto le mamme che si recavano al lavatoio a lavare la biancheria anche più volte al giorno perché a quel tempo non c’era la lavatrice e le famiglie erano numerose.
I GIOCHI
I nostri giochi erano tanti e “stagionali” perché appunto dipendevano dalle stagioni.
L’estate, ovviamente, era la stagione più bella e impegnativa per noi bambini perché le scuole erano chiuse, le giornate più lunghe e noi avevamo più tempo per stare tutti insieme senza pensare ai compiti e la scuola ma solo a giocare.
In primavera con i primi soli cominciavamo a stare fuori casa tutti i pomeriggi.
Preciso che sto parlando del periodo che va dal 1953 in poi.
Con le prime giornate di sole si ricominciava a giocare già al mattino prima di entrare a scuola poi si continuava all’uscita con una bella partita a pallone nel campetto dietro la scuola ed infine si tornava a casa per il pranzo.
Si mangiava in fretta, si facevano i compiti velocemente (ma questo non era sempre facile) e poi via fuori di corsa.
I giochi si alternavano e nella giornata non c’era un momento libero anche perché noi molti giochi dovevamo costruirceli da soli. I più bravi erano Silvano Formica, Giorgio Tarabù, Giorgi Alvaro, Pollastrone e Tito. Silvano a sei anni iniziò a frequentare l’officina di Vittorio Todini, il padre di Ludovico, e già a quell’età era in grado di costruire dei monopattini velocissimi utilizzando i cuscinetti a sfera che recuperava in officina. Ognuno di noi col proprio monopattino partiva dal lavatoio e scendeva lungo la strada provinciale acquistavamo sempre più velocità e cercando di arrivare, senza rompersi l’osso del collo, alla chiesa della Madonna della Neve, poi risalivamo a piedi per la chiesa di San Rocco e si ricominciava.
Silvano era bravo anche nella costruzione delle tagliole che servivano a catturare gli uccelli.
Giorgio Tarabù gli forniva il materiale per costruire queste tagliole prendendo i fili di ferro che suo padre utilizzava per la vigna e poi queste venivano divise tra di loro.
Ricordo che nel 1956, anno della grande nevicata, Silvano mise nell’orto di casa nostra circa 200 tagliole.
La grande nevicata di quell’anno credo sia rimasta indimenticabile per tutti. Io avevo 6 anni e mezzo e probabilmente era la prima volta che vedevo la neve. Mi ricordo che il paesaggio, mi sembrava quasi irreale, era tutto bianco, sia la terra che il cielo. Per noi bambini era tutto molto bello e anche in quella situazione inventavamo i giochi più fantasiosi. Per uscire di casa il babbo scavò con la pala un varco tra la neve, come fecero pure tutti gli altri abitanti del borgo che alla fine sembrava di stare in una lunga trincea.

I camini nelle case erano accesi e per tutto il paese si sentiva l’odore tipico della legna bruciata. Io ero contento che le scuole fossero chiuse perché così potevo andare con mio fratello a mettere le trappole (taiole e pietrangole) per gli uccelli nell’orto di casa mia per poi controllarle dalla finestra della camera. Spesso non facevamo in tempo a rientrare in casa che le trappole erano già scattate. Una volta trovammo in una delle tagliole un pettirosso che era ancora vivo, a me questo uccellino mi faceva tanta tenerezza che alla fine lo lasciai libero. Nelle ore più calde della giornata noi bambini giocavamo a tirarci le palle di neve ma alla fine il gioco diventava una vera battaglia tra i vari gruppi che si formavano per l’occasione. In ogni piazzetta del borgo c’era un pupazzo di neve.
Qualcuno s’inventò per l’occasione gli sci e le slitte. I nostri sci, molto fantasiosi e artigianali, erano fatti con i listelli delle botti che venivano legati alle scarpe con delle cordicelle e con questi andavamo a sciare in piazza San Giovanni perché era in pianura. Gli slittini invece erano fatti con i materiale più svariati: tavole di legno recuperate in casa, tronchi di alberi, le tavole lunghe usate dai muratori nelle impalcature insomma qualsiasi cosa si poteva usare per scivolare con noi sopra facendo delle grandi discese con più persone a bordo. Si partiva da davanti casa mia e poi giù ad alta velocità fino a casa di Alvaro Giorgi.
Devo anche dire che di quella famosa nevicata del ’56 conservo il ricordo di un brutto episodio, fortunatamente risoltosi poi per il meglio. Successe che il babbo era salito sul tetto di casa per togliere la neve che col suo peso era diventata pericolosa per la tenuta delle travi. Poco dopo, mia sorella Fernanda sentì dei lamenti provenienti dal tetto e subito riferì alla mamma che non esitò un istante a salire sul tetto con una scala per vedere cosa stava accadendo. Vide il babbo che non riusciva più a muoversi e a parlare, aveva un inizio di assideramento. Chiamò in aiuto i vicini che fecero molta fatica a farlo scendere dal tetto e portarlo in casa. Ricordo molto bene il grande fuoco che accese mia mamma per scaldarlo così col caldo e i massaggi piano piano si riprese.
Tornando ai giochi, un’altra cosa in cui era bravo mio fratello Silvano era la costruzione di barchette fatte con la corteccia dei pini. Per me che ero piccolo costruiva dei trattorini che mi divertivano molto utilizzando il rocchetto vuoto dei fili di cotone, un fiammifero ed un elastico.
Giochi che facevano i maschi:
lancio del barattolo con il carburo
lancio del fico selvatico con la penna
gioco della guerra
nascondino
figurine dei calciatori
palline di vetro
soldi a muretto
lancio dei tappini metallici delle bibite
cerbottana
carte 7e mezzo
Altre attività
suonare le campane della chiesa
costruzione di tagliole
prendere i passerotti dai nidi
prendere le uova nei nidi
costruzione e gioco con i pattini
andare a rubare la frutta
da grandicelli si andava a fare il bagno al fiume.
Per chi non ha vissuto questi giochi non può rendersi conto del divertimento e dei pericoli.
Andiamo per ordine:

LANCIO DEL BARATTOLO CON IL CARBURO
Gli specialisti erano: Silvano Formica, Tito e Dino pollastrone, i più spericolati. Andavamo alla scalinata sotto la torre della chiesa di San Giovanni, si faceva un piccolo buco nella terra si metteva dentro il carburo e poi tutti sputavano sopra e quando iniziava la reazione chimica cioè si formava del gas si copriva il carburo con un barattolo vuoto (tipo quelli dei pomodori pelati) e quando questo si riempiva di gas, stando a debita distanza, si dava fuoco ad un pezzo di carta e quando il fuoco raggiungeva il gas il barattolo partiva come un missile, a volte il barattolo superava per altezza il campanile. A volte il barattolo partiva storto sfiorandoci la testa e pensandoci adesso avrebbe potuto anche ammazzarci.
GIOCO DELLA GUERRA
Questo gioco era uno dei nostri preferiti, iniziavamo, tempo permettendo, dopo la befana perché in questa occasione la befana appunto ci portava le pistole e fucili ma se qualcuno non li riceveva in regalo li comperava con i propri soldini che aveva accumulato con l’usanza che il primo giorno dell’Anno i bambini maschi andavano nelle case ad augurare “Buon Giorno e Buon Anno”, secondo la tradizione l’augurio fatto da un bambino maschio era di buon auspicio e quindi gli veniva donato qualche soldino e qualche dolcetto.
Il borgo si prestava molto bene per questo gioco, con i suoi angoli, spigoli nascosti, stradine con tanti nascondigli. Formavano due squadre e poi ci davamo la caccia, quando vedevamo un bambino nemico si sparava e con la bocca facevamo “PUM PUM morto picchietto” ecc. ecc.
Queste battaglie duravano interi pomeriggi e non finivano mai perché a volte qualche bambino veniva chiamato a casa dalla propria mamma e non avvisa gli altri che continuavano a cercarlo.
NASCONDINO
A nascondino si giocava sempre soprattutto al pomeriggio ed in estate anche dopo cena. A questo gioco partecipavano anche le bambine e con loro ci divertivamo molto, perché il borgo con le sue viuzze e le sue piazzette era il luogo ideale per nasconderci. Anche questo gioco durava delle ore e a volte per lo stesso motivo della guerra non finiva mai.
FIGURINE DEI CALCIATORI E CICLISTI
Il gioco delle figurine si faceva in tutte le stagioni. D’inverno giocavamo fuori dalla scuola, continuavamo durante l’intervallo (a volte le figurine venivano sequestrate dall’insegnante mettendo nella disperazione più nera il malcapitato) ed anche all’uscita di scuola.
Tutte le strade e piazze del borgo erano buone per fare questo gioco, d’estate si giocava quasi sempre in piazza oppure nel vicolo vicino al forno di Civilino.
Il gioco era semplice, ogni bambino lanciava una figurina contro il muro da una distanza di 4/5 metri, l’ultimo raccoglieva tutte le figurine e le lanciava in aria, il bambino che aveva lanciato la figurina più vicino al muro era il primo a dire testa oppure croce e vinceva tutte le figurine che riusciva ad indovinare.
Il problema più grande era l’acquisto delle figurine e per comperarle dovevamo procurarci i soldi ma i nostri genitori non potevano darceli così già da piccolini avevamo imparato ad arrangiarci, andavamo a cercare il ferro per venderlo a Monachetti Carlo, le pellicce dei conigli a Giusti, ma la cosa più facile era vendere le uova delle galline ai negozianti.
Un giorno mio fratello Silvano non trovando le uova nel pollaio prese la gallina e cercò di prendergliele direttamente da dove dovevano uscire con il risultato che la gallina morì poco dopo.
PALLINE DI VETRO
Anche questo era un gioco per soli maschi al quale ci dedicavamo in estate o quando c’era bel tempo perché si svolgeva solo all’aperto a giornate intere e si potevano applicare due varianti:
1a – Si tracciava una pista nel pezzettino di terra sotto gli “alberetti” della piazza del paese con delle buche distanziate per aumentare le difficoltà di chi doveva lanciare la pallina di vetro e naturalmente vinceva chi per primo superava tutte le difficoltà.
2a – Si giocava tra i sassi sotto agli alberetti o nelle piazzette del borgo ed ogni giocatore doveva colpire con la propria pallina quella dell’altro giocatore.
In questo gioco era necessaria abilità, manualità e molta concentrazione e chi vinceva, vinceva una pallina e ricordo che io e “Pagliaccetto” ne abbiamo vinte tante perché eravamo bravi.
Naturalmente quando andava di moda il gioco delle palline, noi bambini avevamo sempre le tasche piene. Ognuno poi aveva la propria biglia preferita che era considerata invincibile e questo dipendeva sia dai colori che dalla grandezza.
LE SCATOLETTE
Le scatolette erano i tappini metallici con cui erano tappate le bottiglie di vetro. Noi bambini li recuperavamo dappertutto: in casa, al bar, per strada e poi andavamo a giocare nella piazza sopra a quel rialzo di fianco agli alberetti dove la gente si siede in estate. Anche questo era un gioco di abilità e vinceva chi con meno tiri riusciva a dare la spinta più lunga al proprio tappino ed arrivava per primo dall’altra parte del rialzo.
Come per le biglie davamo molta importanza alla bellezza del tappino infatti eravamo convinti che più il tappino era bello e più andava forte. Noi bambini che abitavamo a Castiglione riuscivamo a recuperare solo i tappini della birra Peroni invece Maurizio il cugino di Marcello di Rodi che abitava a Roma e che alla chiusura estiva delle scuole veniva a Castiglione aveva sempre con sé dei tappini bellissimi, colorati che noi non avevamo mai visto e che ci facevano un po’ invidia anche perché lui vinceva spesso e noi ci eravamo convinti che le sue vincite dipendevano dai suoi tappini speciali. Anche quando era di moda questo gioco avevamo le tasche sempre piene di tappini.
CERBOTTANA
Quando negli “alberetti” si formavano i pallini noi li staccavamo e li usavamo come proiettili per caricare le canne che usavamo come cerbottane, ci soffiavamo dentro per tirare senza farci vedere le palline a chi capitava sotto tiro. Questo più che essere un gioco era un divertimento ma ora posso dire pericoloso perché non voglio pensare a cosa sarebbe successo se una pallina avesse colpito ad esempio un occhio.
CARTE DA GIOCO
Altro gioco che ci occupava per molto tempo era quello delle carte. Giocavamo sempre fuori casa dei fratelli Bruno ed Ettore Picchio perché le carte erano loro. Il nostro gioco preferito era a “sette e mezzo” ed al posto dei soldi usavamo le figurine. Caratteristico era Bruno che con il suo modo di parlare lento e preciso quando vinceva diceva in un modo originale: “sette e mezzo legittimo e reale”.
SOLDI
Certe volte alla domenica pomeriggio si giocava a soldi “a muretto”, assomigliava al gioco delle figurine solo che si usavano i soldi infatti si lanciavano 5 lire sotto al muretto poi si “brillava” cioè si lanciava in aria la moneta dicendo testa o croce e vinceva chi indovinava. Anche con questo gioco si passavano pomeriggi interi per poi vincere o perdere 10/20 lire.
PALLONE
In piazza Maggiore e in Piazza San Giovanni si giocavano grandissime partite a pallone. Si formavano due squadre col portiere. In piazza Maggiore il portiere si metteva sotto il muretto che veniva utilizzato come porta (dove si installa il palco per la tombola).
Quando si giocava in piazza a pallone o con le figurine o le palline di vetro c’erano anche i bambini che abitavano a nord della piazza ma spesso arrivava la guardia “il Gallantino” che ci mandava via riuscendo qualche volta a sequestrarci la palla.
SCALATE
Altri punti d’incontro per noi bambini potevano essere il lavatoio dove a volte le mamme ci portavano per tenerci sotto controllo e noi ne approfittavamo per andare al mattatoio dove spesso c’era la mattanza degli animali. Incuriositi guardavamo spaventati ed incantati l’uccisione dei maiali e dei vitelli, quelli che facevano più impressione erano i maiali che spettavano fuori il loro turno e che piangevano sentendo l’odore del sangue e le grida di quelli che morivano.
Dietro al lavatoio ci sono ancora oggi i cioccoli che arrivano fino al primo vicolo, e dall’altra parte fino allo sperone sotto la ripa degli alberetti. Ebbene anche con i chiodi sotto le scarpe ci divertivamo a scalare tutto, ricordo che c’erano anche dei passaggi molto pericolosi e difficili e guardando oggi mi chiedo come facevamo a fare quelle acrobazie.
LE CAMPANE DELLA CHIESA
Credo che da grandicelli tutti le abbiamo suonate. Stare sul campanile e sentirlo oscillare faceva un po’ paura. Carletto, detto Brescoso , era sicuramente il più bravo di tutti per durata ed abilità nel suonare le campane. La fatica più grande era quando si doveva suonava le campane per evitare i temporali e la grandine, in questi casi bisognava suonare per molte ore. Bravissimo era il campanaro Italo che riusciva a suonare tre campane contemporaneamente, una con i piedi e due con le mani.
CACCIA
Da aprile in poi noi ragazzi andavamo a caccia del resto eravamo sempre a contatto con la natura. Il nostro modo di cacciare era riservato a pochi bravi e spericolati che dovevano prendere i passerotti dal loro nido prima che imparassero a volare.
Andavamo al fosso “dopo Silvietto” che era pieno di pioppi che costeggiavano il fiume e qui iniziava la ricerca dei nidi gli specialisti erano sempre i soliti Silvano Formica, Tito e Dino pollastrone che salivano su tutti i pioppi e prendevano i passerotti più grandi.
Io che ero piccolo stavo sotto con un canestro a raccogliere i passerotti che mi lanciavano. Un giorno mio padre Cannara seguì mio fratello Silvano e vedendolo in cima ad un pioppo gli ordinò di scendere immediatamente, Silvano spaventato e preoccupato per le botte che avrebbe preso salì sulla cima all’albero. Allora Cannara iniziò anche lui a salire sull’albero e Silvano vedendosi perso si mise a far oscillare l’albero per fermare il babbo e nel fare ciò si accorse che andava a toccare il pioppo vicino e senza nessuna esitazione si lanciò e si aggrappò alla cima dell’altro pioppo, Cannara spaventato scese dall’albero e gli gridò che avrebbero fatto i conti alla sera e così fu.
Da quel giorno per controllare i nidi venne adottata questa nuova tecnica che risultò meno faticosa (anche se più pericolosa) e più redditizia. Un altro tipo di caccia era quella della frutta che prendevamo direttamente dagli alberi che si trovano nei campi e negli orti dei contadini, mangiavamo sempre frutta fresca di stagione, sapevamo dove trovare in paese le piante da frutta a secondo della stagione.
Altra caccia era riservata alle rane che assieme ai passerotti erano all’ordine del giorno e quando pioveva facevamo anche la raccolta delle lumache. Civilino aveva un cane di nome “Spina” che era bravissimo a cercare i ricci. Civilino ci può raccontare come e quando andava a caccia di ricci e sopratutto come li uccideva e cucinava.
Eravamo molto abili anche nella costruzione di fionde ed archi con relative frecce.
Gli archi e frecce venivano costruite con le bacchette di ferro degli ombrelli. Pensandoci adesso quelle frecce erano pericolosissime perché erano molto appuntite, delle vere armi e fortunatamente, per noi bambini, non si è mai verificato un incidente. Queste frecce non si potevano usare per andare a caccia così le utilizzavamo per cimentarci come gli sportivi nel tiro con l’arco, oppure per spaventare un cane o un gatto che passava da quelle parti o bucavamo le botti che nel mese di settembre la gente che produceva il vino metteva vicino alle fontane riempiendole d’acqua perché dovevano essere pulite e manutenzionate prima della vendemmia.
Una mattina Silvano uscì dalla cantina con un arco bellissimo, fatto con delle canne di legno tipo bambù, sarà stato lungo un metro e mezzo, anche le frecce erano lunghissime, non ci disse dove aveva recuperato quel materiale. Dopo qualche giorno venne un temporale e Cannara andò in cantina a prendere l’ombrello ma lo trovò senza stecche, la sera il babbo fece sparire l’arco con tutte le frecce e Silvano prese le botte.
Anche le fionde erano molto pericolose ma per noi bambini erano un vero divertimento.
Con le fionde riuscivamo a prendere qualche passerotto o qualche rondine ma il nostro gioco preferito era di mirare ai nidi delle rondini. A quel tempo a Castiglione ed in particolare al borgo c’erano moltissimi nidi e ricordo che spesso prendevamo di mira quelli che stavano sotto il campanile di San Giovanni e con un pò di cattiveria cercavamo di distruggerli.
Moltissimi altri giochi impegnavano le nostre giornate, alcuni venivano inventati al momento e forse erano quelli più divertenti e spesso giocavamo anche con le bambine divertendoci molto anche con i giochi delle femmine.
LANCIO DEL FICO SELVATICO CON LA PENNA DI GALLINA (O DI OCA)
Questo è un altro gioco che facevamo da bambini durante la stagione estiva.
Raccoglievamo sugli alberi di fico selvatico i frutti, infilavamo nel picciolo la parte inferiore di una penna (calamo) di gallina o d’oca oppure d’anatra e poi ci divertivamo a lanciarli in aria per osservare come scendevano girando su se stessi e come rallentavano a secondo della grandezza del fico o della lunghezza e larghezza della penna che potevano far cambiare i cerchi e la velocità di discesa.
Le piante di fico selvatico si trovavano al rivellino, al borgo e sopra il lavatoio. Purtroppo questo era un gioco che durava pochi giorni perché eravamo in molti a praticarlo e di conseguenza la materia prima (i fichi) finiva in fretta.
Le penne invece le trovavamo per terra o andavamo a prenderle direttamente sulle ali degli animali.
Una volta non trovando penne in giro per il borgo pensai di andarle a prendere nel mio orto dove i miei genitori ci tenevano una decina di oche. Subito mi si avvicinò l’oca più grande ed io cercai con un balzo di prenderla ma mi scappò allora iniziai l’inseguimento per acchiapparla e strapparle le penne che mi servivano quando, all’improvviso, sentii un colpo ed un dolore alla testa, subito portai la mano dove avevo il dolore e mi accorsi che i capelli erano bagnati e guardandomi la mano vidi che era sangue.
Mi spaventai moltissimo perché non sapevo cosa mi fosse successo e nel guardarmi intorno vidi che mia sorella Franca stava correndo verso di me molto spaventata.
Entrando nell’orto non mi ero accorto della sua presenza perché lei era dentro ad aprire il recinto delle oche e non avendomi riconosciuto mi aveva scambiato per un malintenzionato che voleva rubare l’oca che stavo rincorrendo così per spaventarmi mi aveva tirato un sasso.
Il sangue continuava ad uscire dalla ferita e mia sorella sempre più spaventata e preoccupata prese la bacinella piena d’acqua, da dove bevevano le oche, e me la versò sulla testa per lavarmi la ferita. L’acqua era molto sporca e lei fece del suo meglio cercando di utilizzare quell’acqua per disinfettarmi certo le sue intenzioni erano buone e d’altronde anche lei era una bambina. Poi utilizzando il suo fazzoletto del naso, anche quello sporco, tamponò la ferita raccomandandomi di non dire niente alla mamma. Dopo circa mezz’ora il sangue non usciva più dalla ferita e la mamma non venne mai a conoscenza di questo incidente. Il mio “sistema immunitario” ringrazia.
ALTRI GIOCHI
Girotondo
Pitoro /trottola
Ruba bandiera
Mosca-cieca
I quattro cantoni
Far camminare con un bastone un cerchio, normalmente era una ruota di bicicletta
Bolle di sapone
Costruzione di flauti con le canne
Gioco della cavalletta
Sciangai
Altalene
Salto della corda
Cavalcare un bastone
E da grandicelli in piazza d’estate: Ariecchime e schiaffo del soldato.
LE SERATE E LA NOTTE
Nelle serate estive al borgo e nelle campagne vicine si vedevano molti animali. C’erano moltissime falene, lucciole, pipistrelli, ogni tanto vedevamo qualche riccio e nelle campagne anche qualche tartaruga. Le civette e i barbagianni ci facevano compagnia tutte le notti.
I Vecchi ci raccontavano tantissime storie, a volte paurose con streghe, fantasmi, lupi mannari ecc. . Ricordo che una sera Arduino, il babbo di Ginola, che era paralizzato stava seduto nella piazzetta sotto casa mia e si mise a raccontarci tante storie con questi personaggi, noi bambini seduti a terra ascoltavamo impauriti e senza fiatare, a volte ci venivano i brividi per la paura. Dopo questi racconti io e Silvano per la paura non abbiamo dormito per una settimana.
LO SPOPOLAMENTO
Alla fine degli anni 50, il cuore di Castiglione era il borgo, le case erano tutte abitate e nelle sue vie c’erano molte attività commerciali e artigianali. Ricordo il forno a legna di Davide Paganelli, due negozi di generi alimentari, quattro calzolai tre falegnami e tre fabbri.
Il borgo era pieno di colori e di profumi grazie ai fiori che ogni famiglia esponeva sui balconi e nella via davanti casa, era vivo e pulito, i bambini con il loro vociare lo rendevano anche allegro.
Con il miglioramento economico delle famiglie, anche il borgo iniziò pian piano a cambiare volto e si verificò un lento ma inesorabile spopolamento dei suoi abitanti, i pochi rimasti con il tempo ristrutturarono le case dotandole di tutte le comodità rendendosi la vita più comoda. Con l’arrivo di queste comodità finì un modo di vivere che soltanto chi lo ha vissuto può capirlo ed apprezzarlo.
ALCUNI RICORDI PERSONALI
In quegli anni la società cambiava in fretta era arrivato il boom economico quindi il benessere.
Dapprima arrivò la corrente elettrica nelle case anche se all’inizio “a forfè” per 4 ore solo alla sera, ed in seguito per tutto il giorno. Qualcuno comperò il televisore in bianco e nero ed una di questi era la Marina, mamma di Giuseppe Ferlicca, forse era l’anno 1958/59 e tutti i pomeriggi per le 16,30 andavamo a casa di Peppino per vedere l’Isola del tesoro e tutta la serie di Rintintin e poi la Marina offriva la merenda a tutti.
Nel 1956 Cannara acquistò una radio e la mise sopra la credenza in cucina. La sera ascoltavamo tutti quanti la musica. Io ero piccolo e guardavo affascinato questa radio chiedendomi come potevano stare tutti quei musicisti in così poco spazio. Li paragonavo al numero dei componenti della banda musicale di Castiglione che lì dentro non sarebbero mai potuti entrare perché erano tanti e non riuscendo a capire che mistero ci fosse dentro quella radio quando nessuno mi vedeva salivo su una sedia e usando un ferro per fare la maglia lo infilavo dentro i buchi dell’altoparlante per pungere i musicisti che pensavo fossero là dentro.

Avevo all’incirca 7/8 anni e mi sarebbe piaciuto tanto dipingere ma non avevo la possibilità di comperare l’occorrente. Un giorno la mamma di Graziella Ferlicca le regalò una tavolozza con gli acquarelli, io quando glieli vidi le chiesi se poteva prestarmeli per poter fare un disegno, in un primo momento mi rispose di no ma dietro le mie continue insistenze decise che me li avrebbe prestati per soli tre minuti. Presi questi colori e da casa sua corsi alla chiesa di San Giovanni ma ero appena entrato in chiesa che già sentivo la voce della Graziella che mi chiamava però io volevo fare il mio disegno in una nicchia della chiesa così vi salii e bagnando i colori con lo sputo feci il mio disegno: ”un Gesù sulla Croce” a distanza di 53 anni quel disegno si è scolorito ma è sempre lì dove l’ho fatto (prima o poi dovrò restaurarlo).
Gianfranco il secondogenito di Corintio e della Clara che abitava poco lontano da casa mia, stava preparando l’acqua frizzante con una bustina di idrolitina ma all’improvviso gli scoppiò tra le mani la bottiglia di vetro ferendolo alla mano. Perdeva sangue, tutti ci spaventammo preoccupandoci per quello che poteva essergli successo.
Qualche giorno dopo, mia mamma ammazzò un coniglio, io ripensai a Gianfranco ed al trambusto che l’incidente aveva provocato tra i vicini di casa così pensai di fare uno scherzo. Con il sangue del coniglio mi sporcai il viso, le braccia e le gambe e poi mi misi a correre per le vie del borgo gridando aiuto. La Clara nel vedermi, si spaventò moltissimo e mentre correvo alcune donne mi inseguivano spaventate per fermarmi e vedere cosa mi era successo, a quel punto mi resi conto che l’avevo fatta grossa. Mi fermai distante da loro gridando che era stato tutto uno scherzo ma non servì a niente perché si arrabbiarono tutte con me e la Clara mi disse che me l’avrebbe fatta pagare perché uno schiaffone me lo ero meritato. Per qualche giorno non mi feci vedere in giro e poi per qualche mese quando rientravo a casa evitavo di passare davanti casa sua.
Questi sono stati alcuni episodi della mia infanzia vissuti nel borgo di Castiglione in Teverina che è il paese in cui sono nato e dove ho le mie radici e qui vi ho trascorso momenti belli e spensierati insieme alla mia famiglia e ai compagni di giochi.

ELENCO DEGLI AMICI DI GIOCHI
E’ difficile fare l’elenco degli amici che ci accompagnano durante l”infanzia perché si corre il rischio di dimenticarne qualcuno, io quelli che ricordo sono questi:
MASCHI Picchio Bruno Picchio Ettore Pagliaccetto Tito Omero Alvaro Giorgi Fausto Giorgi Paganelli Bruno Giorgio Tarabù Mio fratello Silvano Marcello Cassetta Gaetano Lombardi/o Carlo detto brescoso Giuseppe Ferlicca Silvio Ruggeri Gorini Sauro Marcello di Rodi Maurizio di Roma Franco Morelli Cesare Morelli Giuseppe Sberna Pituarre Brodo Gianni Paggetto Trapè Civilino |
FEMMINE Ferlicca Fiorella Ferlicca Graziella Nisi Anna Nisi Cesira Gorini Rosetta Marcella figlia di Achille Rita Serranti Gabriella la sorella di Tito Anna la moglie di Trapè La sorella di Anna |
Un saluto a tutti
Filippo Formica
Un ringraziamento sincero per questo ricordo d’infanzia che ,se anche ho vissuto meno in prima persona(essendo qualche “mese”piu’ giovane ed essendo tornata a Roma ad 8 anni) , ha avuto il merito di riimmergermi in quel contesto….la nostalgia e la poesia del racconto hanno fatto il resto.
Catia Funcello,figlia di Mario,fratello di “civilino”.
Il suo scritto consente anche a me che di fatto ho vissuto l’atmosfera del paese negli ultimi anni 70 e 80, di assaporare lo spirito di quel periodo.
Complimenti vivissimi.
Daniele Rossi
(Nipote di “Magnacacio”).
PS Per anni non ho voluto che mi si chiamasse in questo modo, mai avrei detto che un giorno mi sarei qualificato come tale!!!!!
Daniè, il racconto di Filippo mi ha ricordato molto la nostra infanzia felice e spensierata non trovi? Più o meno, tranne che suonare le campane e i botti col carburo, facevamo le stesse cose. In compenso noi ce la rischiavamo col le biciclette e i carretti. Quanti scoppi! Te ricordi? Sulle ginocchia ancora porto i segni.
Bravo Daniele, le origini non vanno mai dimenticate. 🙂
Complimenti e grazie a Filippo che con il suo grazioso racconto ci invita a ripercorrere i nostri momenti d’infanzia e a farci ritornare per un po ancora bambini.
Sono di pochi mesi più vecchia di te. Sono nata, infatti, il 23 febbraio del 1949.
Con emozione oggi ho ricordato la mia infanzia (che in verità non ho mai dimenticato anche se sono partita per Roma nel 1959; a soli 10 anni). Ho sentito di nuovo il vociare di noi ragazzini, che giocavamo davanti alla Chiesa di San Giovanni e facevamo lo scivolo sulla pietra della sua scalinata, mentre la Gemma (gelosissima del vaso di maggiorana che aveva sulla finestra) ci cacciava via brandendo una lunga canna.
Anche io possiedo la foto del gruppo di amici (custodita gelosamente perchè per l’epoca era molto difficile averne una); mio fratello Peppino (Giuseppe) è il ragazzino biondo al centro della foto, tra Tiro e Gianni Chimienti (fliglio del medico che è anche l’autore della foto).
Ti ringrazio per quello che mi hai fatto rivivere.
Rossana hai ragione c’era anche lo scivolo davanti alla chiesa,se sei nata nel 49 e sicuramente abbiamo fatto le elementari insieme. Leggo che anche tu come tutti noi hai ricordi bellissimi della tua infanzia in quel luogo. Mi sto sforzando per ricordare chi sei, è’ passato tanto tempo, per caso sei la figlia di Bigliano che abitava a piazza San Giovanni in quella casa con la scalinata?
Ciao ti mando un saluto affettuoso.
Caro Filippo,
non sono la figlia di Bigliano; le sue figlie sono Marisa (andavamo a scuola insieme) e Silvana che, purtroppo, qualche mese fa è venuta a mancare.
Mio padre si chiamava Primo ed abitavamo in una casa all’interno di quel cortile che ha accesso dalla Piazza di San Giovanni attraverso quei due enormi portoni, purtroppo attualmente fatiscenti.
Attualmente sono in pensione e vivo a Castiglione, in una casetta che ho acquistato in Via Allegra, con la mamma che ha bisogno di assistenza.
Sarei felice di poterti incontrare la prossima volta che vieni nel nostro caro paese.
Un caro saluto.
caro Pippo leggendo il racconto del borgo con nostalgia ho ripensato alla nostra infanzia con tutti i bei ricordi per me che ero sempre a casa tua grazie Anna Calabresi
grazie Pippo di questo racconto cosi pieno di ricordi ,che ricordo con tanta nostalgia
grazie Trape
filippo hai dimenticato il pittolo tra i giochi e le frecce e gli archi fatti con i ferri degli ombrelli che si tiravano sulle tine messe a stanare vicino alle fontane con grande arrabiatura dei padroni delle tine stesse sarebbe pure bello ricordare tutte le botteghe artigiane dei calzolai e dei falegnami che stavano nel borgo cosi a occhio per lo meno cerano circa 4 calzolai e quattro falegnami oltre a qualche fabbro dove spesso venivano portate le vacche ( carlino di egisto ) alla fine di via dell’arco .tra gli altri giochi cerano ” ariecchime , alle cavallette , cucco o nascodino con tana liberi tutti, sarebbe bello un domani ricostruire tutte le botteghe artigiane con i relativi mestieri che vi erano svolti . ciao bruno
Bruno hai ragione, ci sono tanti altri giochi che facevamo, sono passati tanti anni e ricordarli tutti è un’impresa, dovremmo scriverli man mano che ci vengono in mente. Sarebbe bello se anche le donne cresciute al borgo scrivessero i loro giochi e i loro ricordi. Anche loro erano sempre impegnate nei giochi e spesso anche noi maschietti giocavamo a: campana, uno due tre stella, alle belle (o brutte) statuine, palla prigioniera, madama dorè, la filastrocca del cucuzzaro ecc.ecc.
Bellissima la storia dell’arco di Silvano, “una monellata”, certo che con l’acqua di questi giorni…. forse ci avrebbe pensato meglio prima di sfasciare l’ombrello di Cannara…. Comunque ai nostri tempi si socializzava veramente! Saluti.
Marcello.
A proposito di ingegno giovanile, ricordo due bravi ingegnosi: a) NELLO SPINETTI costruiva modelli di Camion, Trebbie (La trebbiatrice del grano quella che si piazzava sull’aia), trattori, con legno, chiodi, lamiere, era bravissimo… qualcuna la faceva pure funzionante. b) ALDEMARO CAPRIOLI costruiva dei (moto)pattini con ruote e cuscinetti sempre in legno; io ricordo lui, Pepe e Tonino (Brodo) che li provavano in fondo al Rivellino e giù per San Rocco.
L’avevo già in mente, Bruno mi ha dato la spinta per l’aggiornamento del racconto. Mi sono ricordato di tanti altri giochi che ho aggiunto alla fine del racconto..
Saluti a tutti.
Mi congratulo con lei per la dovizia di particolari nel descrivere i giochi e le “marachelle varie tipo i pericolosissimi botti con il carburo” e nel mio paese anche quelli con il clorato di potassio, che oggi credo sarebbero oggetto anche di arresto.
Io ho 60 anni e ho vissuto la maggior parte delle esperienze da lei descritte. Grazie per avermi fatto ritornare almeno per un pò in quell’età giovanile.
Ora se può mi tolga una curiosità: sono nativo e abito a Cannara, conosco alcune persone con questo cognome, a loro dire di origine ebraica, che hanno parenti a Milano e Tolentino. Altro cognome di origine ebraica che sembra provenire dal paese Cannara è Canarutto o Cannarutto.
Ho effettuato invano ricerche in loco per individuare la zona dove poteva sorgere il ghetto ebraico da cui proviene questo cognome. Lei avrà senza dubbio effettuato ricerche sul suo cognome e mi farebbe piacere conoscerne gli sviluppi.
Grazie e cordiali saluti.
Mario Scaloni
Via Giovanni Amendola n. 1
06033 – Cannara (PG)
Tel. 0742-72312
Cell. 348-4319989
Gentile signor Mario,
sono felice di averle risvegliato i ricordi della sua infanzia ed essendo noi quasi coetanei e corregionali sappiamo bene che i giochi dovevamo inventarceli con quello che avevamo.
Per quanto riguarda il cognome mi dispiace di non poterla aiutare perchè il mio è Formica e Cannara era il soprannome che era stato dato prima al mio bisnonno poi a mio nonno ed infine a mio padre. Nella seconda metà del 1800 il mio bisnonno si trasferì dal territorio del comune di Cannara ad una frazione di Orvieto ed i nuovi paesani gli diedero il soprannome di cannara appunto per la sua proveninenza da quel luogo. Tuttora in quella parte dell’Umbria (Assisi, Spoleto ecc..) ci sono moltissimi Formica.
Nel mio racconto rivolto prevalentemente ai miei paesani parlo di mio padre chiamandolo Cannara perchè così era conosciuto dai paesani.
Cordiali saluti.
Filippo Formica