UN BOOM DI RICORDI

di Filippo Formica (detto Pippo il figlio di Cannara) – Milano 22 Aprile 2012

Il 27 ottobre 2011 in un post su Facebook, Marco Luzzi scrive:
Incredibile!
Oggi a Roma c’era un traffico inspiegabile, accendo l’autoradio e sento che la colpa è di un’inaugurazione di un nuovo Trony a Ponte Milvio, per chi non fosse pratico a poche centinaia di metri dallo stadio, quindi in pieno centro …. gente in fila dalle 4 di mattina, circa 10.000 persone arrivate per accaparrarsi quei pochi articoli sottocosto in occasione dell’apertura! Alle undici di mattina è stata chiusa la tangenziale a San Giovanni paralizzando una parte di Roma, poco più tardi anche Corso Francia si presentava come un parcheggio a quattro corsie e Roma nord è andata nel panico più totale. Tutto questo perché qualcuno doveva comprarsi un telefonino di ultima generazione a prezzo stracciato o un televisore a 99 €. Ci sono scappate pure le scazzottate per accaparrarsi l’ultimo articolo rimasto. Poi però siamo tutti bravi a fare i moralisti e a lamentarsi della crisi! Un popolo di viziati! Un popolo alla frutta!
Dopo qualche giorno, la stessa cosa è successa nei negozi di telefonia per l’acquisto di un telefonino di ultima generazione dal costo di quasi 700 euro.La vicenda descritta da Marco dovrebbe farci riflettere molto e seriamente perché ci fa capire che il mondo d’oggi dà troppa importanza alle cose veramente frivole e senza sostanza.
Mi è capitato di raccontare ai miei figli o ad amici più giovani di me di come la mia generazione abbia vissuto altrettanto bene senza queste tecnologie. I figli mi hanno ascoltato increduli e con compassione sia me che per quelli della mia generazione per tutto quello che, secondo loro, ci eravamo persi.
Gli amici, invece, essendomi più vicini come età, partecipavano alla conversazione divertendosi e qualcuno addirittura sostenendo che, alla fine con la crisi economica che sta incombendo su tutte le famiglie potremmo ritornare a vivere in quel modo.Secondo me, la mia generazione è quella che ha visto più delle altre la realizzazione dei progetti più ambiziosi da parte dell’uomo come la conquista dello spazio, la messa in orbita di satelliti, la telefonia mobile, i mezzi di trasporto superveloci, computer, internet, navigatori satellitari, scoperte nel campo medico diagnostico e chirurgico, la realizzazione di grandi opere d’ingegneria, la scoperta di nuovi materiali ecc….
A volte mi chiedo se i ragazzi d’oggi abituati fin dalla nascita a tutte queste apparecchiature e congegni elettronici dei quali non possono farne a meno se sanno come hanno vissuto i loro nonni quando erano bambini e questi apparecchi non esistevano. Penso proprio di no. Essendo anch’io nato quando non “esisteva” neppure la parola elettronica con i miei ricordi vorrei raccontare come vivevano, in quel periodo, moltissime famiglie Castiglionesi e credo sia giusto farlo perché anche raccontando o scrivendo regaliamo qualcosa alla comunità di appartenenza.A questo proposito ricordo che a Castiglione c’era un “personaggio” molto conosciuto e amato da tutti i paesani.Nelle serate estive noi bambini ci sedevamo sullo scalino davanti alla porta della chiesa e lui con il suo modo simpatico e carismatico ogni tanto ci intratteneva, raccontandoci storie di Castiglionesi che in guerra erano stati impiegati sui vari fronti.  Queste erano storie vere che nessuno di noi aveva mai sentito raccontare e che erano ancora motivo di angoscia per molte famiglie.  Noi bambini ascoltavamo in silenzio, con molta serietà e a volte un po’ spaventati.
Lui accorgendosi della nostra tensione per l’effetto del suo racconto riusciva con una battuta a sdrammatizzare e a farci sorridere.  Questo personaggio che ricordo con molto affetto e gratitudine è Gozzuti Carlo, “Cipolletta” per i Castiglionesi.
Voglio precisare che con questo mio racconto non voglio fare la rievocazione di “c’erano una volta” perché a questo ha provveduto in modo encomiabile il nostro compianto maestro Ceccani.
Io invece, in queste poche righe, voglio raccontare di un mondo che cambiava scritto da un adulto ma visto con gli occhi, i ricordi, le sensazioni e le esperienze di un bambino quasi adolescente e sarebbe bello ed interessante se anche altre persone del paese raccontassero le loro esperienze relative a quello stesso periodo.
Per la società italiana i cambiamenti più importanti sono iniziati con il “Boom economico” degli anni 50-60. Tutto è successo in circa dieci anni, tra 1955 e il 1965.
Io sono nato nel 1949 e proprio perché ero piccolo molte immagini di quei cambiamenti avvenuti a Castiglione li ricordo molto bene.
Anche il nostro paese si adeguò alle trasformazioni che velocemente avvenivano in quegli anni coinvolgendo profondamente tutti i settori della società e senza che ce ne rendessimo conto cambiarono la nostra vita.Fino al 1953/54 a Castiglione non c’erano molti divertimenti, non esistevano nemmeno i mezzi d’informazione, qualche benestante possedeva la radio oppure era abbonato a qualche giornale, le persone che si spostavano dovevano prendere il Pullman per andare a Viterbo o a Orvieto oppure il treno per il resto d’Italia.
I mezzi di trasporto privati a motore erano pochi e di proprietà dei benestanti.
La maggior parte degli uomini per spostarsi e recarsi al lavoro utilizzava la bicicletta o andavano a piedi. I bambini che abitavano in campagna, lontani dal paese, tutti i giorni dovevano percorrere a piedi diversi chilometri per recarsi a scuola.
I punti di ritrovo per gli uomini adulti erano il bar di Fulvio, quello di Basili e qualche osteria, la più frequentata era quella di Amelio Morelli vicino agli alberetti. C’era anche il cinema parrocchiale gestito da Don Camillo che era aperto solo la domenica. C’erano due proiezioni dello stesso film: una il pomeriggio frequentato quasi esclusivamente dai giovani e l’altra alla sera frequentata per la maggior parte dagli adulti. Il cinema era sempre pieno.
Le persone socializzavano molto fra loro.

le amiche del Rivellino

Le donne che s’incontravano al lavatoio o alle fontane storiche del paese mentre lavavano la biancheria parlavano e spettegolavano fra loro. Anche nei vicoli, al rivellino e al borgo si vedevano sempre gruppetti di donne che chiacchieravano.
Noi bambini scorrazzavano liberi per tutto il paese e ci conoscevamo tutti. Gli uomini lavoravano molto e tornavano a casa la sera tardi.
Ero molto piccolo e ricordo che la domenica mattina in piazza Maggiore si formavano moltissimi gruppetti di uomini, tutti indossavano il vestito della festa, alcuni avevano la brillantina sui capelli, altri come il mio babbo, per tenere i capelli in ordine usavano una goccia di olio d’oliva, io mi avvicinavo al gruppetto dove c’era il mio babbo per ricevere da lui la mancetta di cinque lire necessarie per comperare un gelato di zucchero al bar di Basili.
Gli uomini parlavano prevalentemente di lavoro e di campagna.In estate, quasi tutte le domeniche, in piazza c’era un ambulante che vendeva meloni e cocomeri, io sempre in attesa di ricevere le sospirate cinque lire, guardavo il camion pieno di questi frutti e l’ambulante mentre sceglieva il frutto seguendo le indicazioni del cliente. Gli amici del babbo vedendomi così interessato a guardare i cocomeri lo esortavano a comprarmene uno per farmi contento.

anni 50 – in piazza Maggiore nel giorno di festa

Io osservando i clienti che intendevano acquistare un cocomero vedevo che prima volevano accertarsi che fosse maturo al punto giusto pretendendo dal venditore il taglio del famoso “tassello” per controllare il colore. Per noi bambini mangiare il cocomero era una grande festa. In quegli anni nelle case non c’erano le comodità che ci sono oggi, le famiglie erano quasi tutte dignitosamente povere, la vita era un po’ spartana, si badava all’essenziale, i pochi soldi disponibili erano spesi per le cose veramente utili alla famiglia.  Nella maggior parte delle case non c’erano molti mobili, c’era il necessario, i mobili erano costruiti da bravi artigiani del paese o zone limitrofe.
Nelle cucine c’era il tavolo, le sedie, una madia che conteneva la farina necessaria per fare il pane, una credenza con vetrina che conteneva le vettovaglie e qualche servizio bello da usare per le grandi ricorrenze, Il camino aveva il fuoco sempre acceso e il suo pentolone di rame pieno d’acqua appeso. Anche nelle camere c’era l’essenziale: il letto, i comodini, un comò, l’armadio, appeso alla parete sul letto c’era una raffigurazione di un’immagine sacra.
Gli armadi avevano soltanto un’anta con lo specchio sul davanti della porta e uno o due cassetti in basso. Per moltissime famiglie questi armadi contenevano tutti i capi d’abbigliamento in loro possesso, per gli uomini: un cappotto, un vestito della festa, una o due cravatte, qualche camicia e pochi altri indumenti da lavoro; per le donne: qualche vestito di solito nero per via dei lutti in famiglia che duravano molto tempo, un cappotto e anche per loro altri pochi capi.  Il comò aveva quattro cassetti.
La mia mamma in uno di questi cassetti conservava gelosamente i pigiami e la biancheria intima nuova di tutti i componenti della famiglia che dovevano essere indossati per un eventuale ricovero in ospedale o visite mediche.  Tra le altre cose c’era anche una cassetta di legno contenente tutte le fotografie della famiglia.

Fotoritratto di mio nonno militare nel periodo della Iª Guerra Mondiale

Ricordo che guardavo spesso queste foto, mi piacevano erano tutte in bianco e nero, su molte c’erano i miei nonni, su altre degli zii in uniforme militare della prima guerra mondiale scattate in studi fotografici di Genova, Bologna, Udine, Gorizia, Treviso.  La carta di queste foto erano spessa circa un millimetro e la messa in posa della foto era la stessa per tutti: in uniforme da libera uscita, un gomito e il berretto appoggiati su uno sgabello alto posto lì di fianco. Le foto degli anni successivi rappresentano un po’ la storia del nostro paese, foto dal fronte della seconda guerra, il lavoro nei campi, e foto di gruppi famigliari.

In quelli anni i bambini più piccoli indossavano gli abiti che scartavano i fratelli più grandi, difficilmente c’erano capi d’abbigliamento da buttare, quando un capo non si poteva più indossare, si metteva via per darlo allo “Stracciarolo”. Questo personaggio era un Napoletano che periodicamente girava per il paese e nelle campagne limitrofe a ritirare gli stracci vecchi, in cambio di pentole, padelle, bicchieri, coltelli ed altri oggetti utili alla casa, praticamente era come un negozio ambulante di casalinghi.  Quando arrivava lo si sentiva da lontano perché oltre al tintinnio delle pentole, gridava a squarciagola: “stracciarooooloooo”,  portava sulla schiena un peso enorme, le donne lo chiamavano oppure gli andavano incontro ed iniziavano le trattative per avere più oggetti possibili con lo scambio di stracci, pellicce dei conigli o piume d’oca.

L’energia elettrica arrivò nelle case nei primi anni cinquanta a 125 volt inizialmente qualche ora soltanto di sera. Per scaldare la casa e cucinare c’era il camino e qualche stufa a legna.

il prete scaldaletto

D’inverno prima di andare a dormire per scaldare il letto si metteva sotto le coperte, lo scaldino con i carboni ardenti detto da noi Castiglionesi “il prete”;  quando si andava a dormire il letto era caldissimo. Il camino in inverno rimaneva acceso tutto il giorno e alla sera dopo cena si stava tutti davanti al fuoco per scaldarsi. Spesso in casa veniva qualche vicino per fare due chiacchiere, noi bambini ci sedevamo sui ceppi che erano fusti d’albero che si mettevano vicini al fuoco, ascoltavamo i discorsi che facevano i grandi oppure giocavamo tra di noi e a volte ci divertivamo a fare anche noi maschi  “la calzetta”.
Il bagno lo facevamo dentro una grande tinozza di metallo, d’inverno per non prendere freddo la mamma metteva questa tinozza davanti al camino, ricordo piacevolmente il calore del fuoco ed il profumo del borotalco che la mamma ci metteva alla fine dopo averci asciugati.
D’inverno le mamme al mattino si svegliavano molto presto perché dovevano accendere il fuoco nel camino per scaldare la casa. Dal camino scendeva una catena dove era appeso un grande pentolone di rame pieno d’acqua sempre calda che serviva per tutte le necessità .

le massaie a “Fontana Grande”

La biancheria sporca veniva lavata dalle donne al lavatoio oppure nelle grandi fontane fuori dal paese, questo era un lavoro molto faticoso, d’inverno l’acqua era gelata e quelle che avevano la famiglia numerosa certi giorni dovevano fare più lavaggi durante la giornata.
Un altro lavoro di competenza delle donne era il lavoro a maglia. I maglioni, le sciarpe, le calze e i berretti venivano fatti tutti in casa con i “ferri della lana”. Le donne quando non avevano le mani impegnate da altri lavori avevano sempre questi ferri in mano.
Mi ricordo che per fare le calze dovevano usare contemporaneamente cinque ferri e mia zia Lavinia, la moglie di Ottavio Serranti detto Gargario, era molto brava e veloce riusciva a lavorare a maglia anche quando andava a governare il maiale.  Partiva dal borgo dove abitava e con il secchio sulla testa pieno di cibo per il maiale arrivava fino al fosso di Magnacacio sempre lavorando e senza mai guardare i ferri.

Anche il lavoro in campagna era molto faticoso, non c’erano i mezzi meccanici come oggi e il lavoro più pesante era a carico dei buoi.  Nel mese di giugno i contadini effettuavano la mietitura del grano che veniva svolta a mano utilizzando la falce, la fatica era tanta ed impegnava parecchie persone per molti giorni, le donne spesso intonavano dei canti.  Una volta terminata la mietitura da parte dei contadini, nei campi arrivavano a piedi moltissime persone che “ripassavano” e controllavano attentamente a terra per vedere se era rimasta qualche spiga di grano da poter raccogliere e portare a casa.  Questa operazione veniva chiamata “sdrucio” e chi lo praticava riusciva a raccogliere anche qualche quintale di grano, quantità necessaria a preparare il pane per qualche mese.  Lo “sdrucio” si faceva anche per il granoturco e l’uva.
Terminata la mietitura si passava alla trebbiatura che avveniva nelle aie dei contadini ed anche questo lavoro richiedeva l’utilizzo di molte persone.

Io da bambino in cima al pagliaio

I bambini che avevano gli zii che trebbiavano erano considerati molto fortunati perché potevano trascorrere una bella giornata in allegria che poi si concludeva con una grandissima mangiata. Io per mia fortuna di zii che trebbiavano ne avevo ben tre.
Per questo evento le donne erano molto impegnate già nei giorni precedenti ognuna di loro metteva a disposizione le proprie padelle, casseruole e tegami che potevano servire, poi iniziavano a “sacrificare” un numero impressionante di anatre, oche, polli, conigli, tacchini e piccioni, tutti animali allevati appositamente per quest’occasione.
Tutta questa carne veniva cucinata nei camini e nei forni a legna che ogni casa di campagna possedeva. Anche in quest’occasione le donne avevano una grande responsabilità e lavoravano moltissimo. Noi bambini eravamo impiegati per portare le bevande agli uomini che lavoravano vicino alla trebbia e vi garantisco che non era un bel lavoro perché lì c’era molto caldo e polvere e gli uomini per questo faticavano molto.

Ricordo che la mia prima e unica sbornia la presi proprio in quell’occasione.  Anch’io ero uno dei portatori di bevande agli operai: vino bianco, rosso e acqua, ed avendo anch’io sete bevevo ogni tanto un sorso di vino, dopo qualche ora non riuscii più a camminare, vedevo tutto doppio.
Poi al pomeriggio mi venne un fortissimo mal di testa che me lo ricordo ancora oggi e feci una gran fatica ad arrivare a casa perché non riuscivo ad attraversare il fosso venendo dalla Poggetta.
Quando nell’aia si arrivava a produrre 100 quintali di grano c’era l’usanza di suonare una sirena. Pagnotta che aveva l’aia davanti casa sua, non distante dalla chiesa della Madonna della Neve, suonava la sirena tutti gli anni.  Molte persone che “stazionavano” quotidianamente sotto l’alberetto della Ripa del Pantano, vedevano la trebbia al lavoro e mentre aspettavano di sentir suonare la sirena parlottavano tra loro dicendo: adesso suona!  Siamo vicini!

la casa di Pagnotta vista dal Pantano

Ma forse quest’anno con la stagione brutta non riescono a raggiungere i 100 quintali”.
Ubaldo, l’elettricista, controllava l’aia con un cannocchiale di ottone molto bello tenendo informato ed aggiornato il folto gruppo di persone vicino a lui su come procedevano i lavori. Poi finalmente, e fortunatamente per Pagnotta, la sirena suonava tutti gli anni.
Terminato il lavoro della trebbiatura i lavoranti si sedevano attorno alla lunghissima tavolata preparata nell’aia per l’occasione e tutti iniziavamo a mangiare. C’era molta allegria tra la gente, le portate non finivano mai e si beveva molto vino. Quegli uomini erano abituati a bere vino quindi la maggior parte di loro lo sopportava bene. Ricordo che dopo aver finito di mangiare la festa continuava ancora sempre in allegria.

Anche il periodo della vendemmia è stato indimenticabile per l’atmosfera che si viveva in particolare al borgo e nei vicoli.  Alla fine del mese di agosto, vicino alle fontane, s’iniziavano a vedere le botti e “i bigonsi in Castiglionese” riempiti d’acqua fino all’orlo, questo serviva per la manutenzione.
Per noi bambini anche questi oggetti diventavano strumenti di gioco che, a volte, con l’incoscienza dell’età potevano diventare pericolosi.

botti alla fontanella del rivellino

Immergevamo le teste dentro l’acqua per vedere chi resisteva di più senza respirare, ci bagnavamo i piedi, ci bagnavamo a vicenda, qualcuno s’immergeva quasi nudo nei tini, qualche volta toglievamo il tappo alle botti per far uscire l’acqua e, ovviamente, facendo arrabbiare moltissimo i proprietari. Insomma ogni situazione diventava una bella occasione di gioco e quando faceva caldo stavamo per parecchio tempo vicino a queste fontane.
Durante la vendemmia davanti alle cantine e nelle piazzette del borgo “i grandi” schiacciavano l’uva con le macchinette.  Noi piccolini oltre che mangiare l’uva ogni tanto ci divertivamo a far girare la macchinetta, poi, assaggiavamo il dolcissimo mosto che usciva dai chicchi appena schiacciati. Dopo qualche giorno i torchi prendevano il posto delle macchinette e più per gioco che per lavoro anche noi piccolini collaboravamo con il torchio, sapevamo anche in quale cantina c’era il mosto più dolce.
Dopo qualche settimana c’era l’olio nuovo. Per alcuni di noi che abitavamo al borgo, era quasi normale andare con Silvietto Ruggeri a chiedere al Sor Peppino Eletti, che aveva il frantoio dietro casa sua, un po’ d’olio per fare della buonissima bruschetta col pane fatto in casa.

Una caratteristica di quegli anni era proprio il pane fatto in casa.
A Castiglione quasi tutti gli abitanti lo facevano in casa. Il pane veniva portato a cuocere nel forno a legna di Davide Paganelli. Ricordo che la mia come tutte le altre mamme e donne preparavano un certo numero di filoni di pane che dovevano bastare per circa una settimana ed anche col trascorrere dei giorni questo pane si manteneva buono e fragrante.  A casa mia che eravamo in cinque mangiavano circa 10 chili di pane a settimana.  Le donne dovevano, per prima cosa, prendere l’appuntamento con Davide (il nonno di Bruno) per fissare il giorno dell’infornata.  Per l’orario di cottura, invece, passava durante la notte l’Alfrida che era la moglie di Davide. Chiamava ad alta voce le donne per informarle dell’orario fissato per l’infornata del pane di ognuna.
La preparazione dell’impasto del pane iniziava al mattino presto, circa le due o tre di notte e d’estate anche noi bambini ci alzavamo presto per aiutare la mamma a fare le pizze perché ognuno di noi voleva preparare la propria pizza. Dal forno di Davide usciva sempre un buon profumo di pane che soltanto chi ha avuto la possibilità di sentirlo può capire.

Un altro buon profumo che usciva da quel forno era quello della porchetta di Amelio Morelli. Mi sembra quasi di vederlo quando esce dal forno con la porchetta sulla spalla e che a piedi s’incammina verso il suo negozio situato in piazza. In quel tragitto il profumo che emanava quella porchetta appena cotta si espandeva in tutta la piazza facendo venire l’acquolina a tutti. Era buonissima, a me oltre la carne piaceva fare la scarpetta con la “zozzera” che era il grasso di cottura del maiale colato dentro le teglie. Quando Amelio cucinava la porchetta fuori dal negozio c’era sempre la fila e per chi poteva permettersi di comprarla era veramente una festa.
Per gli acquisti di generi alimentari i Castiglionesi si servivano nelle piccole botteghe del paese.

Le botteghe che ricordo erano: quella della Lisetta la mamma del nostro compianto Sandro Camilli, di Remo Chiucchiurlotto, di Remo del Bar, dell’Eulalia con la figlia Iole e qualche altra che al momento mi sfugge.  Quasi tutti quelli che abitavano al borgo si rifornivano dalla Lisetta perché era la più vicina. I clienti di queste botteghe, alcuni per comodità ma molti perché impossibilitati a pagare subito, facevano “segnare” al bottegaio il conto della spesa su un quadernino nero ed alla fine del mese, quando i capi famiglia riscuotevano il salario saldavano i conti.  A volte tra negoziante e cliente si facevano dei baratti ad esempio scambiando uova o altri prodotti con merce che in quel momento serviva.
La gente non comprava molte cose, perché la maggior parte dei prodotti si producevano in proprio, infatti quasi tutti avevano dei pollai oppure un piccolo appezzamento di terra che veniva coltivato e utilizzato anche per tenerci gli animali da allevare.  Bisogna dire che le nostre mamme erano bravissime in cucina, non esistevano avanzi di cibo da buttare, anche il pane duro si utilizzava per fare il pancotto e la panzanella e quando proprio si doveva gettare qualche avanzo c’era sempre il maiale.

anni 50 – buoi in Corso Roma

Quando la latteria al corso non esisteva ancora le persone per acquistare il latte fresco andavano dai contadini che possedevano le mucche ed alcuni di questi effettuavano anche la consegna a domicilio. Comunque tutti gli alimenti che mangiavamo erano freschi e genuini come quelli che oggi chiamano “biologici”. A casa mia si mangiava pesce di acqua dolce, carne di maiale, di coniglio, oche, polli, anatre, piccioni insomma tutto di allevamento proprio. Dal macellaio si acquistava pochissima carne perché era un lusso che pochi potevano permettersi.  Anche i primi erano fatti con i nostri prodotti come le tagliatelle, gnocchi, polenta, stracciatella e minestroni.
A tavola non mancavano mai le verdure cotte o crude e i legumi che erano prodotti del nostro orto. Purtroppo tutti avevamo la qualità ma non la quantità. Mia mamma era molto brava sia ad allevare gli animali che a coltivare i prodotti dell’orto. Ricordo che in un cassetto conservava tanti sacchettini di carta su cui erano scritti i nomi dei semi delle piante di verdure di appartenenza che sarebbero serviti per la futura semina.

Un altro avvenimento importante per i Castiglionesi era l’apertura della stagione venatoria erano molti gli appassionati ed erano anche dei bravi cacciatori. In paese, nei giorni che precedevano l’apertura della caccia, gli uomini non parlavano d’altro che di preparativi. Pulivano e controllavano meticolosamente i fucili, ognuno fabbricava le proprie cartucce, preparavano i cani e costruivano i capanni per nascondersi.  Noi bambini avevamo la sensazione che l’apertura della caccia fosse una giornata importante e tutti lo capivano quando iniziava perché già dalle prime ore del mattino si sentivano sparare i primi colpi di fucile che ci facevano compagnia per quasi tutta la mattinata.  I primi cacciatori rientravano in paese con la bisaccia piena di lepri, fagiani e moltissimi uccelli, passeggiavano per il corso e poi facevano delle lunghe soste in piazza per mostrare vantandosi delle loro prede.  Noi bambini eccitatissimi e curiosi li seguivamo come in processione per vedere gli animali morti, sentire i discorsi che facevano ed anche per vedere bene da vicino com’era l’abbigliamento da caccia e l’armamento.  Guardavo anch’io quei fucili e rimanevo incantato nel vedere le decorazioni sulle parti metalliche.  Ricordo molto bene quanto erano belli e particolari sia i fucili di Todini Luigi il papà di Giuseppe che quelli del babbo di Civilino.

Un punto di ritrovo importante era l’osteria di Amelio che assieme a Basili Alfredo furono i primi ad avere il televisore in bianco e nero. Alla sera, chi voleva andare a vedere i programmi della televisione doveva mangiare presto altrimenti non riusciva nemmeno a entrare tanta era la gente. Noi bambini ci siedevamo davanti nelle prime file, il locale era sempre stracolmo di clienti e fumavano quasi tutti che ad un certo punto nel locale, non tanto grande, c’era talmente tanto fumo che quasi non si riusciva a vedere lo schermo della tv.  Ovviamente la consumazione era quasi obbligatoria.  Allora io e mio fratello ordinavamo una bibita che poteva essere un’aranciata, una gassosa o un chinotto che poi bevevamo metà per uno con la cannuccia. Ricordo che a volte iniziava lui a bere per primo ed io lo controllavo attentamente fino a quando arrivava a metà della bottiglia e lui faceva lo stesso quando ero io a bere per primo. Ci piaceva sorseggiarla piano, piano perché così ci dava l’impressione che durasse di più e quando mio fratello era troppo lento nel sorseggiare e tenere la bottiglia in mano mi sembrava che il tempo non passasse mai. La trasmissione che riempiva il locale all’inverosimile era quella dove le gemelle Kessler ballavano facendo vedere le gambe scoperte.

A carnevale nel bar di Fulvio si organizzavano serate danzanti. Per l’occasione le mamme accompagnavano le figlie a ballare, poi si sedevano intorno alla sala da ballo e chiacchierando fra di loro controllavano le figlie. Io ero contentissimo quando c’erano queste feste danzanti perché da Fulvio andava di moda il ballo della caramella.
Ecco in cosa consisteva:
un ragazzo che voleva ballare con una ragazza che gli piaceva ma che stava già ballando con un altro doveva avvicinarla ed offrirle una caramella, questo gesto interrompeva il ballo con l’altro contendente e gli faceva conquistare il diritto per ballare con lei. A volte si scatenavano delle vere e proprie battaglie fra i due contendenti, a suon di caramelle, infatti, chi riusciva a dare una caramella in più alla ragazza, conquistava il diritto di ballare con lei. Le ragazze più belle erano le più corteggiate e di conseguenza alla fine della serata erano le più ricche di caramelle. Io ero fortunato avevo due sorelle e ricordo che in quel periodo in casa mia le caramelle non mancavano.

A Castiglione nelle feste di San Giuseppe e Sant’Andrea c’era come oggi il mercato.  In quelli anni oltre al mercato c’era la fiera del bestiame che si svolgeva nel boschetto situato vicino al cimitero.  Parecchi dei contadini che vendevano i loro animali passavano sotto casa nostra.
Io e mio fratello ci alzavamo presto quel mattino per guardare dalla finestra della nostra camera tutta quella sfilata di contadini che portavano gli animali da vendere, in maggioranza erano vitelli, pecore e maiali, poi c’erano anche: asini, cavalli, oche, anatre.  Qualche volta il babbo ci ha portato a vedere come avveniva la vendita e la contrattazione. Ricordo tutte quelle discussioni e finte arrabbiature che alla fine si concludevano con una stretta di mano tra venditore ed acquirente grazie all’aiuto di un mediatore che faceva concludere l’affare.
Invece le bancarelle dei commercianti occupavano la piazza e tutto il corso fino alle scuole elementari. Sui loro banchi c’erano tanti prodotti e parecchi erano novità per tutti. Gli adulti in queste fiere acquistavano prodotti necessari al lavoro e alla casa.
Anche noi bambini eravamo contenti perché potevamo acquistare i coltellini che utilizzavamo per costruirci i giochi. Il giorno dopo la fiera c’era sempre qualche bambino che si vantava di aver rubato al banco il suo coltellino.

Tra i venditori c’era un personaggio che era veramente uno spettacolo vederlo e sentirlo. Vendeva oggetti per la casa, si metteva sempre in piazza proprio sotto il campanile.  Aveva un camion stracolmo di merce, un fazzoletto legato intorno al collo e col microfono sempre fisso davanti alla bocca riusciva a catturare l’attenzione di moltissime persone ed in particolare delle donne.  Io e altri amici stavamo ore a guardarlo per capire come riusciva ad ammaliare le persone presentando i suoi prodotti.  Aveva una tecnica infallibile. Presentava ad esempio un servizio di piatti, iniziava a descriverne le caratteristiche impilando i piatti uno sull’altro fino a fare una piramide poi ne prendeva qualcuno e li sbatteva uno contro l’altro senza che questi si rompessero, poi diceva il prezzo che naturalmente era spropositato.  Allora con maestria scendeva col prezzo fino a quando qualcuno reputando che il prezzo fosse conveniente decideva di comprare. Nel suo mestiere era molto bravo e vendeva moltissimo soprattutto nel tardo pomeriggio perché abbassava ulteriormente i prezzi della sua merce. Noi bambini facevamo scommesse su chi si riusciva ad avvicinarsi al prezzo finale.

il maestro elementare Alberto Manzi nella conduzione della trasmissione “Non è mai troppo tardi”

I CAMBIAMENTI:
Nel 1960 la Rai trasmise un programma per combattere l’analfabetismo con la trasmissione “Non è mai troppo tardi” ed un altro per ottenere il diploma di scuola per l’avviamento professionale.
Anche a Castiglione sotto la guida di Peppe Tafani, l’insegnante che si interfacciava con il corso di “avviamento professionale”, venne costituita una classe alle cui lezioni parteciparono in molti e che si tenevano in un locale della parrocchia vicino al forno di Antonio.
Con l’avvento della TV ha inizio il cambiamento nella società del modo di vivere degli italiani, stava iniziando il “boom economico”, portando innovazioni in ogni campo e ad una velocità impressionante.
I cambiamenti in meglio arrivarono anche a casa mia.
Il Comune, finalmente, autorizzò il babbo a fare la conduttura che avrebbe portato l’acqua in casa e questa fu proprio una grande comodità per tutta la famiglia.  Ricordo che i primi giorni bevevo l’acqua in continuazione perché mi piaceva aprire il rubinetto, vedere scorrere l’acqua e riempirmi il bicchiere così con un solo gesto. La cosa che mi meravigliò in modo particolare fu l’arrivo, pochi giorni dopo, di una cucina a gas con tre fornelli.  Acquisto fatto da mio padre come regalo a mia madre che lei gradì molto perché così non era più costretta alle levatacce mattutine per accendere il fuoco nel camino per preparare la colazione.
Ricordo perfettamente quando quel giorno vedendo il fuoco che usciva dai fornelli rimasi sbigottito, avevo anche un po’ di paura non capendo da dove arrivasse quel fuoco e pensavo che fosse dentro la bombola.

Un altro personaggio importante ed anche oggi molto conosciuto a Castiglione è Renato Polverini, vendeva le bombole del gas, lo si vedeva girare per le vie di Castiglione sempre con una bombola sulle spalle. Quando veniva a casa mia a sostituire la bombola vuota con quella piena, le prime volte, lo guardavo con molta attenzione e curiosità. Lo controllavo perché avevo paura che facesse uscire il fuoco prima di collegare la bombola ai fornelli ma una volta mi spiegò cosa conteneva la bombola e così mi tranquillizzai.

In quel periodo aprì il bar di Remo, lo ricordo molto bene perché durante i lavori di ristrutturazione lo vedevo lavorare da solo con pala e piccone per il prolungamento del locale.
Nello stesso periodo aprì l’edicola di Persieri Latino.
Iniziarono i lavori per la costruzione dell’autostrada del sole nel nostro territorio, a Castiglione arrivarono molti operai e tecnici provenienti da altre regioni d’Italia. Con l’occasione Remo mise nel suo bar il primo biliardo e questa per il paese fu una grande novità.  I primi a giocarci furono proprio i “forestieri” che lavoravano sull’autostrada e ricordo che la sera molte persone andavano a vedere le partite di biliardo.  La gente si metteva a debita distanza intorno al biliardo e facendo da spettatori si interessavano e osservavano il gioco con molta attenzione e silenzio così, dopo qualche giorno, anche i Castiglionesi furono in grado di giocare le loro partite. Molti anni dopo anche noi ragazzotti trascorrevamo interi pomeriggi a giocare.

jukebox degli anni 60

Sempre in quel periodo nel bar di Remo arrivò il primo jukebox.
Questa sì che fu una novità assoluta. Molte persone la domenica andavano al bar e mentre bevevano ascoltavano un po’di musica.  Però erano i giovani i maggiori utilizzatori del jukebox, stavano interi pomeriggi a sentire e risentire le canzoni, si mettevano a decine tutt’intorno e ascoltavano. Nel gruppo c’era anche Remo Braghetta che si metteva a cantare accompagnando le canzoni con la sua bellissima voce da tenore così lo spettacolo raddoppiava.
Pensare che solo qualche anno prima la musica si ascoltava con il grammofono.
Oltre al jukebox alla domenica pomeriggio si vedevano passeggiare per il corso persone con le prime radio a transistor incollate all’orecchio.  Qualche amico aveva in casa il giradischi e il registratore.  Anche il modo di vestirsi stava cambiando. Gli anziani continuavano ad indossare il vestito scuro della domenica.
I giovani iniziarono a vestirsi “casual” come imponeva la moda. Un anno tutti i giovani di Castiglione si vestirono allo stesso modo: pantaloni beige e maglietta t-shirt nera.
Era stata un’idea di Peppe Tafani che quell’anno aveva voluto lanciare quell’abbinamento che ebbe un grandissimo successo.

Il nuovo modo di vestirsi e l’arrivo del benessere fece sparire l’usanza di mettere le pezze ai pantaloni rotti o consumati. Ora invece i giovani comperano i pantaloni rotti e consumati perchè vanno di moda (ed io aggiungerei che sono anche più cari). Sparirono anche i chiodi sotto le suole delle scarpe che alcuni mettevano proprio per non consumare le suole.
Anche nell’agricoltura stava cambiando il modo di lavorare e di produrre. Con l’arrivo delle prime motofalciatrici con tre ruote la mietitura non richiedeva più il lavoro di molte persone perché queste macchine da sole tagliavano il grano e poi lo legavano in fascine facendo così in un solo giorno il lavoro che avrebbe impegnato manualmente per diversi giorni molte persone.

A Castiglione fu aperto il consorzio agrario dove venivano venduti tutti i prodotti per l’agricoltura e dopo qualche anno con l’utilizzo dei concimi chimici e diserbanti sparirono i papaveri nei campi le farfalle e tanti altri animali.

centralino anni 50

Alla fine degli anni 50 nella via IV Novembre dove inizia il borgo venne aperto un locale con un centralino telefonico e la centralinista era Carletta Bianchini. Per la maggior parte della gente questo centralino era un’apparecchiatura misteriosa, con tanti cavi, spinotti e buchi che la Carletta sapeva gestire con molta praticità. Nel locale c’era sempre tanta gente che aspettava o di ricevere una telefonata o di prenotare la linea per chiamare qualcuno in un’altra città.
Ricordo che i primi tempi molte persone, specialmente gli anziani, non sapevano tenere la cornetta vicino all’orecchio sia per parlare che per ascoltare.
Anch’io non riuscivo ad immaginare come funzionava il telefono, mi sarebbe piaciuto mettere quella cornetta vicino al mio orecchio per sentire cosa succedeva e come si sentiva, un giorno lo chiesi alla Carletta e lei mi fece sentire la voce del corrispondente che parlava dall’altra parte, per me fu un’emozione indimenticabile. Dopo poco tempo anche nel vicino ufficio postale sparì il telegrafo che veniva utilizzato per l’invio dei telegrammi e sostituito col telefono.

Nelle case con il lavoro per tutti iniziava il benessere. Castiglione iniziò a ingrandirsi, si costruivano nuove case, si buttavano i mobili fatti a mano per sostituirli con altri fatti industrialmente, qualcuno buttava anche i materassi di lana per sostituirli con materassi moderni con le molle.
Le donne non facevano più il pane in casa ma lo comperavano tutti i giorni al forno. I primi elettrodomestici entrarono nelle case, i più importanti in particolare per le donne furono la lavatrice e il frigorifero.
Poi fecero la loro comparsa anche degli oggetti realizzati con un nuovo materiale: “la plastica”. Le famiglie si abituarono presto a tutte queste novità dando inizio ad un nuovo modo di vivere.

La qualità della vita stava decisamente migliorando, le comodità entrate nelle case come i fornelli a gas, la lavatrice, il frigorifero aiutavano semplificando la vita delle donne e consentendo loro di avere più tempo a disposizione e ad alcune di poter lavorare con una retribuzione. Per i giovani c’erano molte possibilità di lavoro, stavano nascendo nuove figure professionali e, molti emigrarono nelle varie regioni dell’Italia e qualcuno anche all’estero. A quel tempo c’era molto ottimismo.

I ragazzi cominciavano a studiare, il diploma di terza media era quasi alla portata di tutti. A Castiglione la scuola media non c’era e i ragazzi andavano a quella di Civitella d’Agliano aperta nel 1962 oppure a Orvieto. Pochi erano quelli che continuavano gli studi frequentando le scuole superiori e meno ancora quelli che andavano all’università.
Noi giovani ci abituammo subito alle novità come del resto succede ai giovani di oggi.

ragazzi castiglionesi motorizzati

I mezzi di trasporto privati aumentarono, iniziarono a girare molti motorini “quarantotto” di diverse marche: Motom, Zundapp, dik dik , ducati, benelli, poi arrivarono la mitica vespa ed il vespino 48 cc. Molti ragazzi dopo aver compiuto i 18 anni utilizzavano il motorino per andare nei cinema di Orvieto a vedere i film vietati ai minori di 18 anni e quando tornavano raccontavano agli altri le scene più scabrose del film.

Anche il mio babbo comprò una moto, una Bianchi 125 cc con delle cromature molto belle, il sabato la parcheggiava sotto casa sul margine della strada provinciale e dopo pranzo faceva sempre un sonnellino. Io e mio fratello, senza farci vedere da nessuno, ne approfittavamo e gli prendevamo la moto per fare un giretto.  Arrivavamo fino alla stazione andando fortissimo perché il tempo a disposizione era poco e quando tornavo a casa i capelli che erano talmente diritti che dovevo bagnarli per rimetterli a posto.  Solo a ripensarci mi si rizzano di nuovo i capelli.
Ricordo che ero così piccolo che con i piedi non arrivavo a toccare a terra, era mio fratello che reggeva la moto ed io dovevo mettere le marce per partire.
Con l’acquisto di questa moto al babbo non serviva più la sua bicicletta così la prendemmo io e mio fratello Silvano per giocarci, per me era troppo grande e per pedalare dovevo infilare una gamba sotto la canna, devo dire che con noi questa bicicletta durò poco tempo a causa di un incidente capitatomi in cui la distrussi.

Percorrevo in bicicletta la Via Gramsci (la via dietro le scuole elementari) per recarmi in piazza, andavo forte perché venivo dalla strada in discesa vicino a casa di Francesco Chiucchiurlotto, avevo un solo freno che mi si ruppe quando con la mano strinsi la leva per frenare la corsa prima di attraversare la provinciale.  Proprio in quel momento stava passando una delle due lambrette esistenti a Castiglione su cui c’erano Aurelio e Umberto Lattanzi (Picino), lo scontro fu inevitabile e finimmo tutti a terra. Nel vedere Umberto, Aurelio e la lambretta a terra mi spaventai moltissimo e come una molla mi rialzai e ripartii subito nonostante il forte dolore alla gamba. Più avanti mi fermai sotto un lampione in piazza per controllare cosa mi fosse successo alla gamba e vidi che c’era una ferita lunga e profonda dalla quale si vedeva l’osso.
Preoccupato andai a casa, camminavo zoppicando, la mamma capì subito che mi era successo qualcosa di grave perché perdevo molto sangue e quando vide la ferita poco mancò che svenisse per lo spavento.  Chiese ad un vicino di andare ad avvisare di fretta il medico condotto e mi portò di corsa al laboratorio che a quei tempi era sempre aperto e si trovava nei locali a piano terra dell’edificio comunale.
La notizia dell’incidente si sparse immediatamente per tutto il paese, fuori dall’ambulatorio arrivò un folto gruppo di persone preoccupate che volevano avere le notizie. Mentre aspettavamo il medico arrivò la nostra vicina di casa dicendoci che purtroppo il medico condotto non era reperibile e che aveva chiamato il Veterinario Dott. Giombetti il quale arrivò poco dopo ed iniziò immediatamente l’intervento sulla mia gamba. Devo dire che fu molto bravo e gentile, mi mise subito a mio agio e mentre mi cuciva la ferita con ben quindici punti di sutura scherzava e mi distraeva facendomi ridere.
Finito l’intervento entrarono preoccupati Umberto e Aurelio che, poco prima, avevano scoperto che il responsabile dell’incidente ero io e vedendo che tutto sommato stavo bene rassicurarono me e la mia famiglia che a loro non era successo niente. La ferità si rimarginò molto bene, Il lavoro del Veterinario Dott. Giombetti fu eccellente.
Devo ringraziare la mia vicina di casa che non si perse d’animo e fece una scelta intelligente chiamando il veterinario in assenza del medico condotto perché, secondo lei, il veterinario era sempre un medico.

All’età di quattordici anni il benessere arrivò anche per me perché con i miei risparmi potei comprare un motorino usato vendutomi da “Diddebello” per la somma di diecimila lire (circa le cinque euro attuali).
La mia generazione, secondo gli esperti, è la più fortunata da quando esiste l’uomo sulla terra.
In questo racconto non voglio dimenticarmi di coloro che ci hanno portato a questi risultati.

Tutti dobbiamo essere riconoscenti verso i nostri genitori e nonni che hanno avuto una vita di grandi sacrifici e privazioni soffrendo per la fame, le malattie, le guerre e tutte le conseguenze che queste portavano.  La loro è stata una generazione veramente sfortunata ma con il loro buon esempio fatto di semplicità, umiltà, onestà, buon senso ed altissimo senso di sacrificio e dovere sono stati in grado di farci crescere liberi, onesti e preparati alla vita, spianandoci la strada per un futuro migliore.

Voglio concludere con la speranza che il futuro dei nostri figli e nipoti sia migliore di quello delle generazioni precedenti anche se, le immagini viste in tv e raccontate da Marco Luzzi, ci portano alla conclusione che forse abbiamo sbagliato in qualcosa quindi, spetta a voi giovani di migliorare voi stessi e ciò che vi circonda, magari pensando un po’ al passato da me raccontato e che tutto sommato era fatto di cose e persone semplici che probabilmente senza rendervene conto state cercando anche voi.

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