VIA DEL PANTANO

di Nevino Barbanera

Le case di via del Pantano

C’eravamo trasferiti, di casa, all’interno di Castiglione, dal borgo storico e profondo a Via del pantano, dietro la sede comuna­le. Per un bambino di quei tempi, fine anni 60, allontanarsi da casa o trasferirsi era come cambiare vita, esporsi ad un viaggio forzato, ad una nuova avventura.

La distanza era di poche centinaia di metri ma venivano a modi­ficarsi le abitudini, l’ambiente, i vicini, necessitava crearsi nuovi equilibri sociali, nuove relazioni esistenziali.

L’abitazione in via del Pantano aveva più luce, più panorama, basta affacciarsi tuttora dalla ripa della piazza omonima e si apre tutto un mondo di verde, di paesi, di montagne, il lago d’Alviano, le campagne dai mille colori, dalle diverse sfumature. Uno spettacolo naturale unico, sicu­ramente difficile da descrivere, da disegnare per la sua ampiezza. Ma forse ripensandoci lo scopo principale di tale trasferimento era essere più vicini anche alla casa dei miei nonni materni Gino Marrocolo e Valentina Carboni.

In piazza del pantano, via del pantano, via oscura, via olimpia si respirava un’aria diversa, c’era maggiore collaborazione tra tutti i vicini, rispetto agli abitanti del limitrofo borgo, che a quei tempi era ancora densamente abitato. I trionfi di tale cooperazione culmina­vano con la consegna della legna da accatastare per l’inverno, quale mezzo di riscaldamento e d’energia per cucinare. Era una gara di solidarietà e noi ragazzi, instancabili, eravamo i protagonisti, per­ché veloci e sempre disponibili. Non aveva importanza di chi era la legna da riporre, tutti ci gettavamo intensamente per aiutare, per partecipare.

E così nonostante la fatica che a quell’età non era per­cettibile diventava una festa con al termine sostanziose mance per noi ragazzi e rinfreschi con dolci e bibite ai quei tempi ancora ordi­nariamente difficili da trovare. Una vera e propria festa che prima dell’inizio delle scuole ci prendeva realmente.Ricordo la signora Annunziata Del pomo e suo marito Nazzareno detto Neno, invali­do della prima guerra mondiale. Aveva una protesi, gamba di legno e si affermava che ogni tanto s’inceppasse ed era costretto a saltare con la sola gamba buona. Spesso quando si sentivano dei rumori strani, dei saltelli, si diceva “senti Del Pomo sta saltando ji sé incep­pata la zampa”. Vi era poi sotto di noi Annunziata Brugioni e suo marito Guerrino soprannominato “Cincinnato” fumava sempre un lungo e puzzolente sigaro toscano inoltre Nello Pagliaccia “il can­tante” e sua moglie Dina.

Era sicuramente una via particolare, un minuscolo quartiere. In Via olimpia adiacente vi abitava anche la zia Ines e lo zio Lino, barbiere. Nei primissimi anni non avevamo la televisione e qualche sera, solo quando c’era il film, lunedì o mercoledì andavamo dalla zia Ines a vederlo. Diventava veramente una proiezione collettiva, sette otto dieci persone in una stanza, la cucina, a seguire con attenzione quei film in bianco e nero, c’era­no i ristori e soprattutto molti richiami al silenzio. Anche Nazzareno Del Pomo faceva il barbiere. In quegli anni a Castiglione in Teverina vi erano tre barbieri ufficiali che rappresentavano le cate­gorie AB e C come una serie di calcio. Di serie A vi era Amulio Beritognolo all’inizio di via provinciale, un barbiere per signori o giovani alla moda, poi vi era a seguire lo zio Lino Luzi in Corso Roma per un ceto medio borghese e popolare, di mezza età.

In un certo periodo andai anche, finita la scuola, ad aiutare lo zio Lino al negozio di barbiere, mi prepararono anche un camice bianco taglia­to a misura per me.  Dovevo imparare e nel frattempo spazzare i capelli con la scopa e riporli in un ripostiglio al centro della stanza.  La mia esperienza durò pochissimo, ricordo un paio di giorni, non­ostante fossi un ragazzo volenteroso quel mestiere certamente non mi attirava. Lo zio Lino era un soggetto assolutamente allegro, spi­ritoso, sempre scherzoso, aveva battutine pronte per ogni occasio­ne, faceva scoppiettare la lingua come un colpo di pistola per poi infilarti contemporaneamente un dito nelle costole come una vera fucilazione. Si facevano insieme continuamente degli spuntini, pizza, aranciata. Per continuare la graduatoria vi era infine il signor Del Pomo che si trovava in via orvietana nel piccolo cunicolo attualmente deposito della parrucchiera “Rossana”.

Un barbiere, si diceva “per anziani, ultrapopolare, che facesse soltanto teste pelate con la sua macchinetta”. Quando si doveva offendere un ragazzo coetaneo che aveva dei brutti capelli t>igliati si diceva “dò see’stato da Der Pomo”. Sicuramente cattiverie di ragazzi perché tutti i bar­bieri erano bravi od ordinari ma la classifica degli adolescenti del mio tempo era questa. Del pomo già anziano si ritirò presto dal negozio e per mantenersi in esercizio ad alcuni amici o vecchi clienti continuò ad operare nella sua legnaia a piano terra di via del pantano. Si assicurava che offrisse due bicchierini di liquore al cliente, del brandy invecchiato o dell’amaro di Temi, prima di sedersi e prima di ripartire, e il piccolo contributo richiesto per il taglio di capelli, circa duecento lire, non avrebbe sicuramente coperto neanche tale spesa. Ma tutto ciò gli serviva sicuramente per rimanere attivo, a contatto con la gente e magari scambiare dei pet­tegolezzi sul paese.

Si narra che un certo ” pituarre” disse a Del pomo “certo voi siete un grande uomo, tagliate i capelli, aggiustate gli ombrelli, riparate i piatti ma c’iavete un linguino”. Nazzareno Del pomo era effettivamente un piccolo genio aveva una destrezza delle mani a riparare gli oggetti, unica, proprio quando non era faci­le trovare e magari avere dei soldi per acquistare cose nuove e tutti quindi si provvedeva, in caso di rottura, a cercare di riparare persi­no dei piatti da mangiare dove a differenza d’oggi si procede auto­maticamente a gettare ed acquistare di nuovo. Nell’angolo esterno della chiesa, dai bagni pubblici di piazza del pantano aveva realiz­zato un sistema mobile per stendere i panni: un filo di ferro con due anelli a misura andavano incastrati in due grappe fisse ed al centro posto a bandiera un bastone di legno con copertura in lamiera.

Era quasi un’esclusiva di donna Annunziata ma molto spesso tutti i vicini andavano a chiedere il marchingegno per stendere i panni ad asciugare, visto che gli spazi aperti, pubblici disponibili erano inesistenti. Mi raccontò anche della sua amicizia con il dott. Tito Sensi insieme all’interno della bottega di barbiere spesso leggevano dei versi maliziosi o che mettevano in ridicolo gli amministratori del tempo. Ho ancora custodito un appunto di versi recitatemi a memo­ria da “Del Pomo” nel 1979:

un fatto bello
vi voglio raccontare
io vi racconterò
tutta la scena
di una ragazza
che volle amoreggiare.

Di bruttezze la vita
il muso è pieno
voi vi spaventerete
gente cara
e per portarvi il paragone
ora è più brutta di prima
che ha rotto il groppone.

Certo che resta brutta poverina
ora va a fa le pennellature
dal dottore.

L’era una buona vicina
ma l’era un po’ sfacciatella
nell’amore.

Il padre che la corregge
da piccina Le dice:
“stamme attenta nell’onore”.
Poi l’ha messa a precipizio
che di mangiare il torsico
le vuol levare il vizio.

Si tratta sicuramente di storie d’altri tempi. Nei pomeriggi d’e­state nel piccolo quartiere vi era come un coprifuoco, non si poteva giocare, schiamazzare sembrava che tutti vivessero fuori delle pro­prie case e nel pomeriggio, in particolare i coniugi Del Pomo, face­vano la pennichella e non volevano assolutamente sentire bambini giocare o strillare per la via.  Qualche volta che era successo, la signora Annunziata Del pomo aveva inveito dall’alto delle sue fine­stre gettando pure acqua ai malcapitati ragazzi della via. Allora in quelle ore vigevano i giochi del silenzio, le carte, ricordo che la signora Brugioni ci insegnava sul nostro comune piazzette a gioca­re alla carte, briscola, tressette, tuttavia sempre silenziosamente in quelle ore di coprifuoco.

Uno dei giochi dell’estate era la battaglia degli schizzetti d’acqua, si riciclavano i rari contenitori di plastica d’alcool, pulivetro o simili, si riempivano d’acqua, magari allargan­do il buco, per poi scontrarsi come delle più moderne pistole ad acqua. Il sistema per giocare e rinfrescarsi era intenso e gradevole. Essendo vicini al forno Paganelli su via IV Novembre le feste erano grandi occasioni per realizzare i prodotti alimentari della tradizio­ne.  A Pasqua si realizzavano le pizze dolci e con il formaggio, la casa della nonna diventava un vero laboratorio che prendeva tutta la famiglia per alcuni giorni.

Acquisto degli ingredienti, basti pen­sare che di pizze, come tutte le famiglie e forse qualcosa di più per­ché eravamo tre ragazzi da sfamare, se ne preparavano a decine d’ogni tipo. Si provvedeva all’impasto, al taglio dei formaggi con assaggi costanti poi nell’ora stabilita per la nostra famiglia si parti­va a portare le teglie al forno. Si aspettava con ansia la cottura e poi si percorreva la strada di ritorno.magari già belle calde assaggian­do il risultato. Casa della nonna Wanda, che aveva più spazio, diventava anche un deposito dove poi giorno per giorno ritiravamo le pizze, buone per ogni occasione mangereccia dalla colazione, al pranzo, alla merenda, alla cena. Nel corso dell’anno erano fatti arti­gianalmente in casa e poi sempre portati al forno vari tipi di biscot­ti da latte e burro, alle anisette sempre in quantità industriale per una famiglia sempre famelica.

Su via IV Novembre aveva il nego­zio anche la zia Lisetta, sorella del nonno Gino, ricordo questa pic­cola stanza sotto il comune era tutto un mondo, oggi esistono iper­mercati di migliaia di metri quadrati mentre allora, ca 30/40 anni fa, in una stanza di pochi metri 20 o poco più c’era di tutto. Si passa­va dalla merceria, alla biancheria intima, alle stoffe negli scaffali alla sinistra dell’ingresso, per poi arrivare al banco completo di salumi, formaggi prodotti a taglio quelle grandi scatole di tonno piene d’olio, per poi girarsi sul lato destro con scaffali prima in legno, poi in alluminio con paste sfuse d’ogni tipo. Vi erano poi qualche cassetta di frutta la principale o primizie portate diretta­mente da qualche contadino, cioccolate e caramelle, gomme ameri­cane, c’era anche un frigorifero, grande, bianco con una maniglia che chiudeva a serrata.

Il frigorifero quando la zia lo scartò, perché vecchio e superato lo portammo in casa noi, era un grosso lusso soprattutto in estate poter avere le bibite fresche ed altro, prepara­vamo delle bottiglie d’idrolitina, frizzina in acqua fresca, perfino aranciata con buste e coloranti ci sembrava di essere dei veri signo­ri. Il frigorifero essendo molto vecchio, si rompeva spesso, magari la maniglia di chiusura o lo sgocciolatoio e mio padre che era un geniale artigiano riusciva a ripararlo sempre ed a farlo resuscitare per molti anni.  In quegli anni era possibile comprare100 grammi di spaghetti, avvolti nella carta paglia, prendere un tocco di tonno o delle alici. La zia infilava la pasta con una cartoccia che era scelta tra i vari cassetti con esposizione a vetri. Io sono entrato di recente in quella stanza certamente sembra molto piccola eppure vi era di tutto, saranno cresciute le esigenze della gente ma allora bastava veramente poco.

Nell’altro lato di via IV Novembre facendo pochi scalini, sotto il tetto della rocca vi era un piccolo deposito di pro­dotti per l’igiene e varechina che da un grande contenitore di plasti­ca era venduta sfusa. Arrivavano i clienti con il bottiglione o i più moderni con una precedente tannica di plastica per ritirare la vare­china che serviva per diluire ogni lavaggio casalingo. Accanto al negozio, in fondo, dietro il bancone vi era una porticina interna che portava all’altro locale, con accesso esterno sempre da Via IV Novembre, questo era il Posto Telefonico Pubblico. All’inizio appeso alla parete vi era un grosso contenitore con tanti spinotti e collegamenti come un aggeggio infernale, una vecchia scrivania e tanti elenchi telefonici di molte province italiane poi una cabina telefonica chiusa per la riservatezza delle comunicazioni.

In quegli anni, sembra impossibile a raccontare, pochissimi avevano il tele­fono in casa e quindi tutti dovevano rivolgersi al Posto Telefonico Pubblico e telegrammi, sempre gestito dalla zia “Lisetta”. Finita la terza media Emilio, mio fratello, iniziò tale servizio. La gente chia­mava il posto pubblico per parlare con qualcuno del paese, allora si prendeva un orario d’appuntamento, quando avrebbero potuto richiamare e nel frattempo si partiva, si andava a casa del desidera­to lasciandogli un avviso che possibilmente lo portava in ufficio per l’ora stabilita. Pensare a poche decine d’anni fa al tempo che occor­reva per fare una comunicazione telefonica quando oggi in casa tutti abbiamo vari telefoni e personali cellulari. Nei periodi delle elezioni il telefono pubblico, l’unico del paese, doveva rimanere reperibile, a disposizione 24 ore su 24 e quindi la notte qualcuno rimaneva dentro con una sdraio a sonnecchiare nella attesa di comunicazioni ufficiali o altro.

La vita del quartiere scorreva lenta e tranquilla cadenzata dai vari appuntamenti personali o collettivi. Si sapeva benissimo, tra noi ragazzi, quando erano mature le man-doline al campetto di Masci, o le ciliegie dal professore o ancora i baccelli all’ortaccio ed altri agresti prodotti. Un appuntamento usuale, alla fine dell’estate, quando “Baccometto” Basili Antonio, staccava il frigorifero dei gelati ed in quel giorno, pena lo sciogli­mento, era una gara di ragazzi a mangiarne il più possibile 3, 4, anche 5 gelati, ghiaccioli, cremini che regalava con piacere poiché aveva deciso di terminare la vendita. Come naturale e logico tutto cambia si evolve, si progredisce e pensare che fino a poche decine d’anni era tutto così diverso.

Sicuramente oggi la vita è più comoda, densa di beni effimeri ma più consumistica dove al centro, del riferimento umano, esistono i beni materiali, le case, le macchine, i telefonini, la ricchezza, e non importa in quale modo conseguita.

I tempi trascorsi non sono auspicabili che tornino tuttavia, a mio avviso, necessita una maggiore spiritualità, l’attribuire minor valo­re ai beni materiali e tutte le vecchie generazioni sono certamente vaccinate dalla povertà, dalla solitudine, dalla mancanza di mezzi da un mondo bombardato di messaggi fragili, fuggevoli, tempora­nei d’una giovinezza, una vita, in via del pantano.

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