DOPPIO INGRESSO

di Francesco Chiucchiurlotto

Da piazza “28 ottobre” si diparte il Corso Roma ed un tridente di vicoli, Via del Poggetto, Via Marconi e Via Allegra, che costituiscono il cuore pulsante del paese; a sud il borgo medievale ed a nord di questo complesso urbano, la parte più recente che finisce con le ville dei maggiorenti e l’inseminatoio dei Vaselli.

Ma la vita vera è quella che si svolge nei vicoli, nelle piazze, nelle osterie; è quella che lascia tracce nella memoria collettiva del paese, quella che si nutre di storie, episodi, battute di spirito, trovate ingegnose, che si tramanda accanto al focolare, che stringe vincoli di simpatia e di solidarietà, oppure ne infrange i rapporti, ne attizza gli odii.

Nessuno ne tiene il conto, ne registra la cronaca, ne archivia la memoria, eppure ogni paese è uguale e diverso per questo e allo stesso tempo, ed alla fine è il paese che se ne nutre e se ne plasma l’identità, le caratteristiche ambientali, il comportamento dei suoi abitanti e ne fa dei protagonisti.

E protagonista dei vicoli, in verità non la sola, era Carmela: nel pieno della maturità, conservava un aspetto fiero, come il seno prosperoso che non accennava ad abbassare le sue punte; dei fianchi che sembravano due parentesi rotonde a  circondare un posteriore che come sanno i maschi che se ne intendono, “parlava”; due gambe tornite e scattanti che i suddetti presentivano con un brivido, avvinghiate alle proprie.

Ma soprattutto gli occhi, conservavano un fuoco giovanile, spensierato ed irridente, che non accennava ad acquietarsi, il cui scintillio, semplicemente, catturava gli sguardi altrui ed apriva scenari da alcova, da situazioni languide ed esasperate come se ne vedevano nei boudoir del cinema muto, delle donne fatali dagli occhi pesti e dalle labbra dischiuse; in poche parole tensione erotica pura.

Di contrappasso suo marito Esquilino era ormai in disarmo; aveva da tempo perduto il confronto con la moglie, ne era succube in tutto e sia per il lavoro sfibrante che faceva alla cava di terra bianca, sia per caricarsi a sostenere le continue prove di virilità che richiedeva Carmela, aveva trovato nel vino un fedele alleato.

Sia per il piacere che il buon vino del paese dava, sia per la compagnia che trovava all’osteria, per alcuni anni la cosa aveva funzionato; ma col passare del tempo il vino aveva reclamato il prezzo di tanti eccessi, la furia incontentabile di tante sbronze, quella sicumera a buon mercato che gli consentiva di fare ancora il “padrone di casa”.

Così a mano a mano che si infiacchiva sino a crollare sul letto dopo essersi spogliato a fatica, Carmela cominciò a dardeggiare occhi altrui ed a trarne ore di sfrenata passione, anche se continuava a voler bene al suo Esquilino.

Approfittava poi di una condizione privilegiata, perché la sua abitazione aveva due ingressi: uno su Via del Poggetto ed uno su Via Marconi; di modo che quando rientrando a tarda ora, suo marito metteva la chiave nella toppa, entrava in cucina e svuotava la vescica in bagno, prima di entrare nella camera da letto, il suo amante di turno aveva tutto il tempo di vestirsi alla meglio e uscire da una porticina che dava sull’altra via.

Questo accadeva d’inverno, perché d’estate, di giorno, tra la maese dei campi, i prati di trifoglio, o il fieno dei pagliai, era un bel far l’amore, gioioso, forsennato, infaticabile: che donna Carmela, una leggenda!

D’inverno appunto, usava la possibilità del doppio ingresso ed appena l’amico se ne era andato, infilava il “prete”, quel riscalda lenzuola con i carboni del focolare fatto archi di legno, per giustificare il letto caldo di ore di passione.

Ma una notte, il diavolo ci mise lo zampino nelle spoglie di Righetto, che più sbronzo di sempre, continuando a cantare sin dall’osteria di Filodelfo, condusse Esquilino, che aveva comunque bevuto più della sua parte, in Via del Poggetto deviandolo dal consueto traggito di Via Marconi.

Quando si congedarono, Esquilino si trovò davanti all’ingresso secondario della sua abitazione e con inaspettata abilità, stante il vino ingurgitato, riuscì a infilare la chiave nella toppa ed a aprire la porta che dava nella sua camera da letto.

Quella notte Carmela se la godeva con uno “di là da fiume”, un giovane robusto, con una barba scura e fluente, muscoli tosti e scattanti, inesauribile voglia di sfiancarla e stavano veramente dandosi il meglio quando i rumori della serratura li fecero sobbalzare: il tipo arraffò alla meglio i vestiti infilandosi quanto poteva; Carmela invece rimase tranquilla rimboccandosi le coperte sino al collo.

Quando Esquilino entrò barcollando nella camera, alla luce dell’abat jour, vide un cristone barbuto con indosso una specie di mantello e incrociò lo sguardo sgarbatamente irritato di Carmela.

“Ma che cazz…” tentò di dire indicando il giovanotto, e si sentì rispondere in modo risoluto e definitivo da Carmela.

“Aoh! Che c’è? Invece del prete ti ciò messo ‘l frate; il letto è caldo lo stesso; vieni a senti!!”

Ci fù come un corto circuito nel cervello di Esquilino, prete, frate, letto, Carmela; mentre cercava di raccapezzarsi e mentre il giovanotto sgaiattolava fuori alla meglio, si ritrovò tra le braccia calde e confortevoli di Carmela, che dolcemente lo spogliò, lo baciò e lo ribaciò, sino a che cadde in un sonno profondo e riparatore sino al punto che l’indomani non ricordò alcunché.

A dire il vero la memoria cancellata da sobrio, gli ritornava quando era ubriaco e confusamente raccontava all’osteria qualcosa su un prete che era diventato frate e che era comparso e scomparso in camera da letto.

Fù così che in giro si seppe che Carmela oltre che bella e di facili costumi, era anche furba e di pronti riflessi.

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